Allarme in Adriatico, i pesci malati d’iprite con il genoma modificato

Il 25 agosto scorso avevamo inviato alla stampa un nostro comunicato stampa che potete leggere integralmente sul sito del Liberatorio.
Qualche giorno dopo la Gazzetta del Mezzogiorno pubblicava parzialmente il nostro comunicato e solo domenica 21 settembre, invece, dedica mezza pagina al pericolo iprite che incombe da oltre 60  anni sul nostro mare, con l’articolo che segue a firma di Lucrezia D’Ambrosio.

Allarme in Adriatico: pesce malato iprite e inquinamento nel mirino

di Lucrezia D’Ambrosio

Il pesce pescato in Adriatico non è uguale a quello pescato nel Tirreno. Le differenze sono sostanziali anche mettendo a confronto pesci della stessa specie. Quelli pescati in Adriatico presentano lesioni istopatologiche e alterazioni biochimiche. Per farla breve hanno milza e fegato ingrossato, presentano lesioni e «tracce significative di arsenico e derivati dell’iprite», per usare i termini contenuti in un dossier dell’Istituto centrale per la ricerca applicata al mare (Icram, oggi Ispra) organismo che lavora per conto del Ministero dell’Ambiente.

Proprio l’Ispra, a breve, con la collaborazione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e del Nurc, Centro di ricerca della Nato in ambito teologico e scientifico applicato alle problematiche del mare, condurrà studi in Adriatico per stabilire l’eventuale presenza dei metalli sui fondali.

Per essere ancora più espliciti, i pesci sono sofferenti, stanno male. Perché? L’Adriatico è una pattumiera chimica e i pesci sono costretti a vivere e a riprodursi in un ambiente contaminato, inquinato da aggressivi chimici che continuano a fuoriuscire dai residuati bellici adagiati sui fondali, vescicanti (iprite e lewisite); asfissianti (fosgene e difosgene); irritanti (adamsite); tossici della funzione cellulare (ossido di carbonio e acido cianidrico).

Certo, non è corretto parlare di pesce geneticamente modificato. Quello che, da anni, finisce sulle nostre tavole, è pesce con evidenti «problemi al genoma». Se questo pesce, malato, faccia poi male a quanti lo consumano non è stato finora accertato.

Ad oggi, il documento Icram risale a qualche anno fa, le ricerche si sono concluse nel 2006, nessuno ha predisposto analisi, a campione, sui consumatori di pesce, né uno studio sistematico pari a quello condotto sui pesci. «Studio gli effetti degli aggressivi chimici sui pesci e sull’ecosistema marino, se mi si chiede se consumare pesce con problemi al genoma possa far male non so rispondere. I risultati ottenuti sui pesci dalla nostra indagine sono allarmanti – precisa Ezio Amato, dirigente tecnologo, coordinatore servizio emergenze ambientali in mare, il ricercatore autore del dossier Icram -. Ci siamo concentrati in particolare sul grongo, pesce stanziale. I campioni prelevati sono stati sottoposti a quattro diverse metodologie d’analisi, che indicano la sussistenza di danni e rischi per gli ecosistemi marini determinati da inquinanti persistenti rilasciati dai residuati corrosi».

Tra le alterazioni epatiche più frequenti è stata rilevata la statosi, patologia cellulare legata all’accumulo di trigliceridi, e l’alterazione focale della colorazione. A carattere più sporadico sono state riscontrate alterazioni a carico delle branchie, erosioni e emorragie. «È stata anche riscontrata la presenza di parassiti in branchie, cavità addominale e tessuto cutaneo», prosegue Amato.

Il dossier Icram si riferisce a pesce pescato in Adriatico, in prossimità delle zone di affondamento delle bombe dell’ultimo conflitto mondiale. Una delle zone di rilascio più estese si trova a 35 miglia al largo di Molfetta. Lì sono stati individuati circa ventimila ordigni, caricati con aggressivi chimici a base di iprite e composti di arsenico.

Sono state individuate «ventiquattro diverse sostanze costituenti il caricamento speciale; di queste, diciotto sono persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi sull’ambiente».

«È noto – spiega Amato – che alla fine del secondo conflitto mondiale le armi chimiche furono abbandonate in mare aperto. La Marina militare ordinò di lasciarle oltre i 1.000 metri. Ma non fu così. Per le operazioni furono impiegate anche piccole imbarcazioni e pescherecci. Più carichi lasciavano in mare, più guadagnavano. È facile intuire cosa possa essere accaduto».

Nonostante il dossier Icram evidenzi chiaramente le patologie a cui sono soggetti i pesci che vivono e si riproducono in prossimità delle zone di rilascio delle bombe, quelle aree non sono mai state indicate sulle carte nautiche come zone interdette alle operazioni di pesca.

«Se ai nostri pescherecci fosse vietata la pesca in quelle zone – puntualizza Amato – il problema si presenterebbe di gran lunga ridimensionato. Pesce pescato ad alcune decine di chilometri di distanza da quelle aree non presenta problemi al genoma».

I residuati bellici nelle acque di Molfetta: parla il Comandante Acquatico

di Lorenzo Pisani – Molfettalive

L’intervista al Capitano di Fregata della Marina Militare, coordinatore delle operazioni di sminamento del porto.

Una bomba d’aereo da 500 libre (circa 227 kg) di fabbricazione americana è stata fatta esplodere ieri nelle acque al largo di Molfetta.

A coordinare l’operazione, il Capitano di Fregata Giambattista Acquatico, Comandante del Nucleo S.D.A.I. (Sminamento e Difesa Antimezzi Insidiosi) alle dipendenze del Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del canale d’Otranto (Maridipart Taranto).

Il brillamento di ieri fa parte dell’ampia operazione di sminamento del porto, la cui bonifica procede a ritmi serrati. Ogni giorno i palombari E.O.D. (Explosive Ordinance Disposal) del Nucleo S.D.A.I. s’immergono nelle acque del porto alla ricerca degli ordigni lasciati in dote dalla Seconda Guerra Mondiale. Il tutto attenendosi scrupolosamente al protocollo, un protocollo collaudato dall’esperienza decennale del Nucleo.
E’ un lavoro silenzioso quello degli uomini di Acquatico, ma costante: individuazione, messa in sicurezza, accantonamento nei fusti e brillamento.

Il tutto a stretto contatto con gli uomini della capitaneria al comando del Capitano di Fregata Antonio Cuocci. Un’operazione – come dirà lo stesso Comandante – che procede più veloce delle stime. Ma non è l’unico aspetto trattato nell’intervista. Residuati bellici, modalità di sminamento, Torre Gavetone e iprite: parla il Comandante Acquatico.

Siamo giunti al sesto brillamento, come procede lo sminamento del porto?
«Abbiamo avuto mandato di bonificare 54 posizioni geografiche; dopo 24 giorni ne abbiamo completato 19. Il numero di ordigni sino ad ora rimossi è compreso tra 200 e 300, mentre 850 è il numero totale, stimato in sede di prospezione iniziale affidata ad Impresa civile. Continuando con i numeri attuali, gli ordigni bonificati potrebbero essere anche più del doppio della stima (1700). Quello di oggi, una bomba d’aereo di fabbricazione americana denominata “Demo” non risultava fosse presente nel bacino».

Si ha una stima della durata dei lavori?
«La durata dell’operazione era stimata in 135 giorni, ma terminerà prima perché stiamo anticipando i tempi. La percentuale d’avanzamento dei lavori, infatti, è del 35% a fronte del 19% preventivato. L’anticipo sui lavori è dovuto sia allo stato del mare, che consente agli addetti ai lavori di esprimere tutte le potenzialità operative, sia ad una precisa strategia d’intervento, prescelta dal “Direttore delle Operazioni”, e che, al momento, sta privilegiando la bonifica delle aree in cui non è stata ipotizzata/rilevata la presenza di ordigni a caricamento speciale (aggressivo chimico e w.p.). Ci si augura di poter conservare parte dell’anticipo guadagnato ma è fortemente probabile che, con il progressivo inevitabile contatto con gli ordigni a presunto caricamento speciale, le operazioni abbiano un fisiologico rallentamento. L’obiettivo, pertanto, resta quello di rispettare i termini ipotizzati in sede di preventivo e cioè concludere questa prima fase della bonifica in 135 giornate di effettivo lavoro subacqueo».

I residuati bellici non sono solo presenti nel porto, ma su tutta la costa, compresa la spiaggia libera di località Torre Gavetone. Lo sminamento riguarderà anche questi siti?
«L’operazione di bonifica in corso, denominata “Bonifica del Basso Adriatico”, prevede lo sminamento del tratto di mare a sud del Gargano. Molfetta ha avuto la massima priorità perché era già nota la presenza di ordigni e per i lavori di costruzione del nuovo porto commerciale. Dopo le 54 zone di cui si compone l’operazione in corso, si procederà allo sminamento di un’altra zona posta all’imboccatura del porto, denominata “zona rossa” e dell’area di Torre Gavetone. Successivamente la bonifica riguarderà le zone di Otranto, Manfredonia e il porto vecchio di Bari».

Torre Gavetone è sinonimo di iprite, sostanza chimica contenuta negli ordigni presenti sui fondali. Finora ne sono state trovate tracce?
«La maggioranza degli ordigni rinvenuti dall’inizio delle operazioni è del tipo a “caricamento ordinario”, vale a dire con esplosivo convenzionale. Alcuni pezzi contengono fosforo e un’altra piccola parte è a caricamento chimico. Per il momento non sono state rilevate dispersioni in mare di componenti chimici. Non ho ancora constatato personalmente la situazione in località “Torre Gavetone”: da civile, e non da ufficiale, posso dire che in attesa di un responso ufficiale sarebbe meglio interdire quella zona. Per quello che mi è stato riferito, nella zona durante la guerra era operante una fabbrica di sconfezionamento di ordigni. Questi ordigni sono stati depositati a strati sul fondale e poi ricoperti da cemento. In passato si è provveduto ad una piccola operazione di bonifica per un tratto di costa 250 metri alla profondità di 50. Resta da vedere se attorno a quell’area ce ne siano altre interessate dalla presenza di ordigni».

Cosa è l’iprite?
«L’iprite, detto anche gas mostarda, è un aggressivo chimico vescicante, cioè penetra in profondità nella pelle e nei tessuti provocando vesciche e viene assorbito dal sistema linfatico. Provoca la morte per contatto, o inalazione, di un’elevata quantità. Finora in questa bonifica non sono state rilevate bombe caricate ad iprite».

Tornando al brillamento, a cosa si deve la scelta del mare a favore di un’esplosione in cava?
«In generale gli ordigni a caricamento ordinario trovati in acqua sono fatti brillare in acqua, mentre quelli a caricamento speciale sono accatastati in acqua e fatti brillare all’interno di una cava. Nel caso, invece, di bombe caricate con fosforo o altre sostanze chimiche si procede allo smaltimento e stoccaggio secondo il protocollo. Il brillamento in mare è molto più sicuro di quello in cava. Innanzitutto non viene attuata alcuna procedura d’evacuazione della popolazione entro il raggio di 1 km dall’ordigno con conseguente blocco del traffico e non vi è alcun pericoloso tragitto in strada di un eventuale convoglio; l’ordigno non viene mai fatto esplodere in loco, ma spostato nel punto più profondo di un’area sabbiosa e fangosa (per meglio assorbire eventuali danni) e mai fatto esplodere sul fondale, ma in posizione sospesa. L’acqua, inoltre, elimina il pericolo di proiezione delle schegge. Nell’esplosione di oggi sono rimasti uccisi solo sei sgombri e una trentina di sardine, una percentuale irrisoria. La Capitaneria di Porto si assicura che nei punti scelti per far brillare gli ordigni non vi siano condutture, né cavi elettrici sommersi. In sei anni ho distrutto milioni di ordigni, rare volte c’è stato un danno quantificabile».

Sono stati avanzati dubbi sul coinvolgimento nelle operazioni dell’Arpa e dell’Icram: cosa risponde?
  «L’operazione di sminamento in corso è scaturita da un protocollo d’intesa sottoscritto da Regione Puglia, Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) Puglia e Icram (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare). Ovviamente la conduzione e la direzione delle operazioni spetta al Nucleo SDAI della Marina Militare Italiana, compresa la messa in sicurezza del poligono. Stiamo lavorando in sinergia con l’Assessorato Regionale all’Ambiente e infatti le operazioni di prospezione subacquea (la ricognizione dei fondali marini per l’individuazione del residuati bellici) sono state affidate all’Arpa. La bonifica diverrà effettiva solo dopo l’autorizzazione dell’Icram
Infine, desidero precisare che i successivi lavori di prospezione a carico della così detta “zona rossa” sono stati affidati alla responsabilità dell’Icram (non dell’Arpa) che si farà, altresì, cura di validare i lavori di bonifica effettuati, attraverso un’ulteriore ricognizione magneto-acustica dei fondali. Solo la positiva conclusione di quest’ultima fase, consentirà l’avvio dei lavori di escavazione dei fondali destinati alla realizzazione del nuovo porto commerciale».

Le bombe brillano e le condizioni del nostro mare peggiorano

Lo spettacolo continua, il copione si ripete ma lo scenario non è una semplice giornata d’estate; la regia ha scelto il giorno dei festeggiamenti della Vergine Maria dei Martiri per tenere a battesimo la “Bomba della Madonna”.
Già immaginiamo il tifo da stadio e gli applausi dopo il brillamento del secondo ordigno della seconda guerra mondiale, e ci chiediamo se lo spettacolo si ripeterà per ognuno delle migliaia di ordigni rimasti nell’area portuale.
Cittadini ignari della storia di quelle bombe perché nessuno vuole parlarne e il Sindaco Senatore non può tradire il silenzio che i suoi predecessori, da Molfetta a Roma, hanno mantenuto per tutti questi anni.

Solo le centinaia di pescatori molfettesi sanno bene di cosa si tratta, qualcuno in questi anni, purtroppo, è morto portando via con sé il segreto del “fosso delle munizioni”.
Ancora oggi la nostra marineria convive con le bombe all’iprite o al fosforo, che vengono salpate a bordo dei pescherecci, con l’odore acre della mostarda all’aglio, mandando in ospedale anche i pescatori più esperti.
Oltre 60 anni di ustioni, silenzi e morte che comincia il 2 dicembre del 1943, con il bombardamento del porto di Bari. I tedeschi, allora, presero di mira le navi americane, cariche di armi chimiche. Un disastro che si trascina fino ad oggi. Tutto ciò che fu recuperato da quelle navi, ordigni e fusti contenenti iprite, il potentissimo aggressivo chimico utilizzato nella grande guerra, venne nuovamente affondato al largo delle coste del nord barese.
Al largo di Molfetta in direzione Torre Gavetone ci sono ancora migliaia di bombe anche a caricamento chimico.
Abbiamo chiesto da oltre un mese al Sindaco Azzollini notizie certe di quello che sta avvenendo nel nostro mare e di monitorare le acque per essere certi che l’iprite che sta fuoriuscendo da bombe e fusti corrosi non stia danneggiando l’ecosistema marino con conseguenze disastrose anche per la salute dei cittadini.
Non solo, ad oggi, non abbiamo ricevuto alcuna risposta, ma cominciamo ad avere seri dubbi sulla correttezza delle operazioni di sminamento che stanno interessando la zona portuale di Molfetta. Non vorremmo che l’obiettivo primario dello sminamento in corso, già manifestato dal Sindaco, si realizzasse in fretta senza rispettare gli studi dell’ICRAM, creando ulteriori danni collaterali.
Ci sembra strano che le operazioni in atto siano svolte solo dallo SDAI (reparto Sminamento e Difesa Antimezzi Insidiosi) della Marina Militare di Taranto, con uno stanziamento del Comune di Molfetta di €. 50.000,00 stralciati dai fondi per la costruzione del nuovo porto.
I lavori non prevedono lo sminamento della zona costiera antistante la Torre Gavetone, che pur è prevista nella delibera regionale insieme alla zona portuale.
Inoltre la DELIB. DELLA GIUNTA REGIONALE del 25 giugno 2008, n. 1074 prevede anche la collaborazione di enti scientifici quali l’ICRAM e l’ARPA–PUGLIA per verificare e monitorare eventuali danni all’ecosistema.
Facciamo appello all’Assessore Regionale Michele Losappio, che stranamente parteciperà allo “spettacolo” dell’8 settembre, di verificare che il progetto regionale sia rispettato e che ci sia la dovuta e corretta informazione ai cittadini. Crediamo che questa sia l’ultima possibilità che offriamo alle istituzioni e in mancanza di solleciti riscontri ci rivolgeremo agli organi giudiziari per denunciare le gravi omissioni messi in atto, ad oggi, dal Sindaco Azzollini e/o altre istituzioni.

Liberatorio Politico
Matteo d’Ingeo

Il vento moltiplica l’alga tossica

Repubblica — 03 settembre 2008   pagina 9   sezione: BARI

di Antonio Di Giacomo

Non basterà l’ assenza dei venti in questo weekend a scacciare l’ emergenza alga tossica. L’ Ostreopsis ovata resta un problema. A dirlo, numeri alla mano, è Giorgio Assennato, direttore generale dell’ Arpa Puglia. «L’ allarme continua, perché – annuncia – le condizioni meteoclimatiche dei giorni scorsi, e soprattutto il maestrale che ha spirato sulla litoranea barese, hanno favorito la proliferazione della microalga». Le ultime rilevazioni, aggiornate al 26 agosto e pubblicate online sul portale dell’ Arpa, riferiscono infatti di un’ enorme fioritura in atto di Ostreopsis ovata, con picchi in luoghi di prelievo come Riva del Sole e il lido Lucciola a Giovinazzo o, ancora, il lido il Trullo di Bari e l’ ex motel Agip a Torre a Mare. Non per caso racconta Nicola Ungaro, biologo marino e coordinatore del gruppo Acque per l’ Arpa, «i centralini dell’ Agenzia sono stati presi d’ assalto lunedì da decine di telefonate. Parlo di bagnanti che, dopo essere stati fra sabato e domenica al mare nel litorale Sud di Bari, hanno avuto una serie di disagi. Cioè mal di gola, riniti ed episodi febbrili di elevata intensità sebbene di breve durata». Gli effetti, insomma, dell’ esposizione alla famigerata Ostreopsis ovata. «Che intendiamoci, onde evitare un carico d’ eccessiva preoccupazione nella popolazione – avverte Assennato – non è un’ alga killer, ma fortunatamente debolmente tossica. Fatto salvo che le implicazioni sanitarie legate al contatto e all’ inalazione della microalga restano assolutamente sgradevoli». Certo l’ annunciata assenza in questo prossimo fine settimana del Maestrale e le acque poco mosse potrebbero indurre a supporre una progressiva risoluzione del problema, «tuttavia – insiste Ungaro – visti i livelli di fioritura in atto registrati appena pochi giorni fa la concentrazione residua della microalga resterà plausibilmente alta». Tanto più che il ritorno d’ estate previsto dal meteorologo Vitantonio Laricchia per il fine settimana ancora secondo il biologo marino «rischia di favorire attraverso l’ insolazione la densità della fioritura: più luce c’ è e l’ alga meglio cresce. Solo l’ abbassamento progressivo della temperatura delle acque superficiali potrà favorire la successiva risoluzione del problema». Che esiste e va affrontato con un approccio organico, continua Assennato. «Per l’ estate del 2009 – dice il direttore dell’ Arpa – ci siamo prefissati l’ obiettivo di incrementare i punti di campionamento delle acque: oggi sono soltanto 19, l’ anno prossimo contiamo di triplicarli. Benché si faccia già la nostra parte, anzi di più perché a differenza di quanto accade in altre regioni ci prendiamo la libertà e la briga di informare cittadini e istituzioni. Da un anno e mezzo, in effetti, abbiamo chiesto all’ assessorato regionale alla Sanità la costituzione di un tavolo tecnico per affrontare il problema dell’ alga. Non è accaduto nulla, l’ assessorato evidentemente non ne avrà avuto il tempo». E, ironia della sorte, a ricordarlo è Nicola Ungaro, i campionamenti dell’ Arpa devono essere considerati probabilmente un “optional”. «Effettuiamo questo monitoraggio – chiarisce il biologo – senza che nessuno ce lo chieda, ovvero in assenza di finanziamenti per questa attività».

Mancato monitoraggio dell’Ostreopsis Ovata

Mentre il Ministro Brunetta continua la sua campagna contro i “fannulloni” nelle pubbliche amministrazioni licenziando gli assenteisti e la Ministra Gelmini ripristina il voto in condotta per valutare il comportamento degli studenti, a noi cittadini non è data la possibilità di bocciare, senza attendere una nuova consultazione elettorale, l’operato dei nostri amministratori, ed in particolare del nostro Sindaco Senatore e di chi lo sostituisce durante le sue numerose assenze.
Dopo aver tenuto all’oscuro la cittadinanza della conoscenza della balneabilità del nostro mare, affiggendo il manifesto dei divieti di balneazione solo a fine luglio, il Sindaco ha pensato bene di ignorare anche il problema dell’Ostreopsis Ovata, comunemente detta “alga tossica”.
Ancora una volta dopo le nostre denunce, la montagna di  pressappochismo ha partorito il topolino, e il 26 agosto, a fine estate, sono apparsi in città i manifesti con cui si è pensato di tamponare una mancanza non perdonabile a chi ha il compito di salvaguardare la salute pubblica.

L’allarme era già stato lanciato dall’ARPA Puglia lo scorso luglio e altri Sindaci della provincia barese si sono subito mobilitati per sviluppare in città quello che il Ministero della Salute chiama” “piano di sorveglianza sindromica”.
Non così ha ritenuto di fare il nostro Sindaco che è venuto meno al suo dovere di massimo garante della salute pubblica nonostante le decine di casi di intossicazione da Ostreopsis Ovata registrati a Molfetta durante la scorsa estate.
Nel nostro territorio è accaduto invece che tutti i malcapitati cittadini non hanno fatto ricorso al Pronto Soccorso o a numeri verdi, e quindi non è rimasto traccia dei numerosi casi di intossicazione.
Dal nostro osservatorio riteniamo che si sia trattato di parecchie centinaia di casi, compresi in una scala sintomatologia che andava dal semplice mal di gola e faringite, a casi più gravi con febbre fino a 40 gradi con tosse e generale spossatezza.
Alcune spiagge, e in particolare quelle intorno a Torre Gavetone, da ferragosto in poi si sono spopolate, e non perché le ferie erano finite.
Il Comune avrebbe dovuto, in tempo debito, evitare che categorie di cittadini a rischio frequentassero la spiaggia nei giorni con prevedibile aerosol tossica.
In questo irrituale quadro epidemiologico che non può essere sottovalutato da nessuno, la città di Molfetta, molto probabilmente, non è rientrata tra i siti a rischio che vengono monitorati dall’ARPA Puglia.

Gli aderenti al Liberatorio Politico sono tra quelli che non vogliono minimizzare il fenomeno dell’alga tossica e chiedono al Sindaco di ottenere tutte le notizie utili riguardanti le iniziative che intende intraprendere la pubblica amministrazione per avviare da subito un progetto di studio e monitoraggio delle nostre acque, anche a prescindere dalle iniziative istituzionali di altri enti preposti.
Si propone di invitare tutti i medici di base a trasmettere tutti i casi, registrati durante l’estate, potenzialmente riconducibili all’esposizione alla tossina dell’alga Ostreopsis Ovata, mettendo così in rete una casistica fatta di giorni, luoghi, età e durata dei sintomi che potrebbe essere oggetto di studio.
Per ultimo vogliamo ricordare al Sindaco che i termini entro cui i Suoi uffici avrebbero dovuto consegnarci le notizie richieste, già dal 25 luglio 2008 (prot. n. 42330), sono abbondantemente scaduti.
Pertanto ci riserviamo di rivolgerci ad altri enti preposti per far valere i nostri diritti.

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