Azzollini e il porto di Molfetta, una legge ad personam potrebbe assolverlo

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

Antonio Azzollini, campione delle leggi ad se stessum. Il latino è del tutto maccheronico, ma rende l’idea. Il senatore Ncd, presidente della Commissione bilancio, di recente attenzionato per la seconda volta dalla Corte dei Conti, potrebbe scampare dalle accuse che lo hanno fatto finire nel registro degli indagati per la vicenda del porto di Molfetta, città pugliese di cui era sindaco, un appalto da 57 milioni per un’opera mai finita, ma per la quale lo Stato ha stanziato finora oltre 169 milioni. Secondo Repubblica Bari, un piccolo comma inserito in una legge approvata l’anno scorso (quella dei famosi 80 euro di Renzi) potrebbe far cadere una delle accuse contestate al politico alfaniano dalla Procura di Trani. Quella di aver versato 5,7 milioni di euro alle imprese appaltatrici del porto con un “artifizio contabile”, sostengono i pm, in modo tale che il Comune di Molfetta apparisse comunque in regola con il patto di stabilità per gli enti locali.

Repubblica chiama in causa il comma 1-bis dell’articolo 18 del decreto legge n.16 del 2014, poi convertito in legge. E proprio in sede di conversione (prima stranezza) è comparso il “bis” incriminato. Il quale, “per i mutui contratti dagli enti locali antecedentemente al 1o gennaio 2005″ offre una nuova interpretazione di una precedente norma, il comma 76 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Proprio quella che i pm di Trani contestano ad Azzollini di aver violato. La nuova interpretazione è tale che “l’ente locale beneficiario può iscrivere il ricavato dei predetti mutui nelle entrate per trasferimenti in conto capitale, con vincolo di destinazione agli investimenti”. Così facendo, “l’eventuale rimborso da parte dello Stato delle relative rate di ammortamento non è considerato tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno”. Un cavillo supertecnico, ma a sollevare sospetti è innanzitutto il riferimento netto al 2005, visto che il pagamento incriminato era stato iscritto nel bilancio del Comune di Molfetta giusto nel 2004. E l’inchiesta contro Azzollini e una sessantina di indagati era diventata di pubblico dominio il 7 ottobre 2013, con due arresti. Come mai sei mesi dopo, nel marzo del 2014, qualcuno si preoccupa di intervenire sui mutui contratti dai Comuni otto anni prima?

Non è la prima volta che il Parlamento licenzia leggine utili al potente ex sindaco di Molfetta. Fra le accuse della Procura di Trani contro Azzollini c’è quella di avere dirottato i copiosi fondi statali stanziati per il porto ad altre destinazioni, dalla pista di atletica alla sistemazione dei marciapiedi. Molti di questi dirottamenti, però, non possono essergli contestati in virtù di una norma del 2005 (il dl 203 poi convertito in legge), secondo la quale i fondi da quel momento in poi stanziati per il porto di Molfetta potevano essere utlizzati anche per “la realizzazione di opere di natura sociale, culturale e sportiva”. Il pronto soccorso ad Azzollini è spesso bipartisan. Nell’ottobre scorso il Pd è stato determinante per respingere la richiesta della Procura di Trani di utilizzare alcune intercettazioni telefoniche – sempre relative all’inchiesta sul porto – in cui compariva il parlamentare. Il prezzo pagato dai dem fu una lacerazione interna con tanto di autosospensione del senatore Felice Casson. Una vicenda che ha poi pesato sulla sua decisione di candidarsi a sindaco di Venezia, con la prospettiva di lasciare Palazzo Madama (e i suoi compromessi) se eletto.

Abissi a prova di bomba

foto di Felisiano Bruni – RumoreCollettivo

notriv-terradibari.blogspot.it

Il Comitato Bonifica Molfetta ed il Coordinamento No Triv – Terra di Bari hanno inviato al Ministero dell’Ambiente le osservazioni alle integrazioni della Global Petroleum Limited rispetto alle quattro richieste di prospezione, ricerca e coltivazione d’idrocarburi in un tratto di mare che interessa molti comuni nell’area del nord e sud barese e del brindisino.
Le osservazioni partono dalla richiesta del Ministero dell’Ambiente che ha chiesto alla società australiana chiarimenti sulla compatibilità tra le indagini che la Global Petroleum intenderebbe condurre con l’ausilio dell’air – gun e la presenza sul fondale delle zone interessate da ordigni bellici risalenti al secondo conflitto mondiale ed alla guerra in ex – Jugoslavia.
Nonostante le precisazioni della Global Petroleum circa la mancanza di precedenti sulla correlazione tra la presenza di ordigni bellici e simili operazioni di ricerca svoltesi nell’Adriatico, riteniamo che la cartografia ufficiale della Marina Militare, di cui il Ministero della Difesa (interpellato e non espressosi) è a conoscenza, indichi con precisione le zone interessate dalla presenza d’ordigni inesplosi e sia motivo sufficiente ad interrompere tutti procedimenti in corso.
Parimenti, il nostro governo dovrebbe subito confrontarsi con la vicina Croazia dove la politica locale ha concesso 10 licenze per l’esplorazione e lo sfruttamento degli idrocarburi nell’Adriatico, molte delle quali ricadono in aree interessate dallo stesso problema.
La mancanza di precedenti in materia non deve legittimare l’azienda australiana e le altre operanti nell’Adriatico a condurre le proprie ricerche in siti ad alto rischio senza considerare il fattore umano. Anche solo l’innesco di una bomba, provocato dall’utilizzo dell’air gun, potrebbe produrre un effetto a catena devastante per il fondale marino e per l’incolumità in superficie di tutti coloro che dovessero trovarsi nelle zone scandagliate.
Dalla consultazione del sito del Ministero dell’Ambiente appare evidente il disinteresse politico delle amministrazioni delle città coinvolte e della Regione Puglia rispetto alle integrazioni della Global Petroleum, dato che nessuno di questi enti ha formulato, sino ad ora, proprie osservazioni che esprimano una posizione netta ed inequivocabile rispetto alle scelte politiche ed energetiche del governo centrale ed apportino ulteriori dati utili a bloccare i procedimenti in corso. Dopo il definitivo svuotamento del Titolo V della Costituzione e la progressiva perdita d’autonomia delle regioni su questioni basilari del presente e del futuro come l’energia, ci saremmo aspettati ben altra risposta ed attenzione. Fare proprie le osservazioni che abbiamo inviato al Ministero con una atto politico nei rispettivi consigli comunali ed in consiglio regionale, possibilmente, integrandole, rappresenterebbe un punto di partenza per recuperare il tempo perduto ed un minimo di dignità politica.

Comitato Bonifica Molfetta
Coordinamento No Triv – Terra di Bari

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Il governo è stato battuto al Senato, un emendamento vieta l’utilizzo della tecnica “air gun” per le esplorazioni marittime

Ecoreati, governo battuto: stop alle esplosioni per le esplorazioni in mare

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Il governo è stato battuto al Senato su un emendamento di Antonio D’Ali (Forza Italia) che vieta l’utilizzo della tecnica “air gun” o altre tecniche esplosive per le esplorazioni marittime e prevede pene da uno a tre anni. Nonostante il no del governo, che voleva un ordine del giorno, i sì sono stati 114 e i no 103. Stesso esito ha avuto la proposta di modifica, analoga, proposta da Giuseppe Compagnone (Gal). Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, aveva chiesto di trasformare gli emendamenti in un ordine del giorno esprimendo attenzione al tema sollevato dai due emendamenti ma le proposte sono state mantenute sia da Compagnone che da D’Alì e l’Aula ha votato. “Una vittoria senza precedenti – dichiara Compagnone – che dimostra ulteriormente il grande impegno del gruppo Grandi Autonomie e Libertà per l’ambiente, per la Sicilia e per il Mar Mediterraneo”. Carlo Giovanardi (Area popolare, in maggioranza) lo ha definito un autogol “per la ripresa economica del nostro Paese, che ha rinunciato al nucleare, contesta lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio in terraferma, e adesso introduce un reato sino a tre anni per le società autorizzate a ricerche petrolifere in mare. Purtroppo in Parlamento troppi si interessano più dei problemi del benessere delle nutrie, dei pesci, degli uccelli migratori e della madre terra ma non dei 60 milioni di italiani la cui situazione economica diventa sempre più precaria”.

Il testo del disegno di legge, approvato dalla Camera e modificato dall’Aula, potrebbe essere approvato entro, domani 4 marzo: in ogni caso tornerà a Montecitorio in terza lettura. Il Senato ha anche dato l’ok, a larghissima maggioranza, a un ordine del giorno – anche questo con Compagnone e D’Alì primi firmatari – che blocca le trivellazioni “non conformi alla direttiva comunitaria”.

Tra gli emendamenti approvati anche due firmati da senatori del Movimento Cinque Stelle. Il primo elimina la “non punibilità” per chi, pur commettendo reati di inquinamento e disastro ambientale, si adopera a ripristinare lo stato dei luoghi inquinati. Il cosiddetto “ravvedimento operoso” prevede, comunque, la riduzione da un terzo alla metà della pena per chi si adopera a ripristinare lo stato dei luoghi e di un terzo per chi collabora con la magistratura. Il secondo testo M5s (firmato da Paola Nugnes) approvato introduce invece una nuova fattispecie di reato, l’omessa bonifica. L’emendamento prevede che “chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito, con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 20mila a 80mila euro”.

Un emendamento del Pd (a prima firma Felice Casson) ha invece introdotto l’aggravante ambientale con un aumento delle pene. L’emendamento afferma che “quando un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal decreto legislativo 152 del 2006 o da altra legge posta a tutela dell’ambiente la pena, nel primo caso è aumentata da un terzo alla metà, e nel secondo caso è aumentata di un terzo”. In ogni caso il reato è procedibile d’ufficio. Infine un emendamento dei relatori di maggioranza Pasquale Sollo (Pd) e Gabriele Albertini (Area popolare) è stato approvato con un voto bipartisan e prevede “la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato sarà sempre ordinata salvo che appartengano a persona estranea al reato”.

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