Lunedì, conferenza stampa del Comitato Bonifica Molfetta

Il Comitato Bonifica Molfetta terrà una conferenza stampa  Lunedì 1 dicembre alle ore 18.15 presso la sala stampa di Palazzo Giovene in Piazza Municipio.

Saranno presentati aggiornamenti:

– sulle osservazioni inoltrate nel luglio scorso al Ministero dell’Ambiente in opposizione alle trivellazioni nel basso Adriatico e sulla documentazione integrativa che lo stesso Ministero ha richiesto alla società Global Petroleum;

– sulla fase di bonifica dell’area portuale e Torre Gavetone;

– sulla messa in sicurezza del porto e delle prospettive future;

Inoltre sarà illustrata la proposta di istituzione di una commissione comunale di studio tecnico-scientifico sull’esposizione cronica alle tossine dell’Ostreopsis ovata (alga tossica) e la creazione di un osservatorio che rilevi le ricadute della stessa sull’ecosistema.

“Il mare a Molfetta” tra ordigni bellici, alga tossica e depuratori malfunzionanti

IL MARE A MOLFETTA

Questo video è stato realizzato per sensibilizzare maggiormente i cittadini Molfettesi, mostrando quello che molti non possono vedere, sperando di sensibilizzare anche gli enti governativi in modo che si adoperino per mettere in sicurezza il “nostro mare”.

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Una pruduzione “Nucleo sub Molfetta“in collaborazione con il “Comitato Bonifica Molfetta“. Video montaggio di Daniele Marzella in collaborazione di Maddalena De Virgilio, Paolo De Gennaro, Pasquale Mezzina e i volontari del Nucleo sub Molfetta. Musiche di Roger Stefane – Un Autre Monde; Akashic Records – Stories of The Old Mansion

La bonifica dei residuati bellici è diventata un business per pochi

Questa mattina è ricominciato il recupero, dallo specchio acqueo portuale di Molfetta, di altri 56 ordigni residuati bellici caricati al fosforo e il successivo loro trasferimento presso una cava di Corato. I convogli partiranno il 27–28–29–30–31 ottobre e 1 novembre e, ogni giorno, oltre i militari saranno impegnati, direttamente e non, anche dei civili che in qualche modo con le loro professionalità e/o imprese partecipano a queste operazioni sin dal 2009.

Sono a carico dell’Amministrazione Comunale tutte le spese relative alle missioni del personale dei vari Enti civili e militari, che forniscono la presenza continua durante le operazioni; una ambulanza della Croce Rossa Italiana con medico, infermiere professionale e personale paramedico; personale del Comando VV.FF.; la Ditta Binetti Capurso per nolo autogrù ed assistenza al recupero dal fondo marino dei fusti contenenti gli ordigni;  la FERRAMENTA PEDONE s.r.l. fornisce dei materiali occorrenti per lo svolgimento in sicurezza del brillamento; la Global Cave srl (Cava) di CORATO offre la disponibilità ed uso di una cava con mezzi e operatori per il ripristino dei luoghi dopo aver neutralizzato e fatto brillare gli ordigni; e poi abbiamo il fotografo Giuseppe Grillo (?) di “FOTO REPLAY” che documenta con puntualità tutte le operazioni dallo spiaggiamento degli ordigni al brillamento in cava.  In dettaglio:

a) FERRAMENTA PEDONE s.r.l. – Bisceglie –  fornitura di quanto richiesto dall’11° Reggimento Genio Guastatori di Foggia con nota prot. n. 68807 del 22.10.2014 per l’espletamento del proprio servizio: – n. 200 sacchetti di sabbia da kg. 25; – n. 2 rotoloni di carta asciuga mani con relativi portarotoli; – n. 6 maschere con n. 12 filtri; – n. 12 paia di guanti in gomma resistenti; – n.7 paia di stivali (dicuin.1n.40,n.4n.42,n.141en.143); – n. 12 rotoli di nastro isolante; – n. 12 rotoli di nastro telato americano; – n. 9 paia di occhiali protettivi da lavoro; – gazebo a fisarmonica;  per l’importo complessivo di € 2.500,00 IVA compresa;

b) Global Cave srl (Cava) di – CORATO. Per l’utilizzo della cava compreso: Preparazione di rampe per la discesa degli automezzi artificieri; Movimentazione di blocchi di pietra già estratti per la creazione di spazi di manovra ai mezzi militari interessati alle operazioni; Utilizzo di alcuni blocchi di pietra per creare un muro di contenimento per le conseguenze del brillamento, con utilizzo dei mezzi ed operatore (escavatore e pala meccanica); Fermo tecnico del sito per gg.6 e danneggiamenti arrecati; – Rimozione dei detriti conseguenti le operazioni di brillamento negli stessi giorni di fermo, nell’ipotesi di materiale innocuo … Per l’importo complessivo per gg.6 (comprensivi dei due per la preparazione rampa e dell’area di brillamento e successiva bonifica) € 18.000,00;

c) 11° Reggimento Genio Gustatori di Foggia ( giorni 6 – unità impegnate n. 1 Ufficiale e n.6 Sottufficiali) Spese di vitto e alloggio presso strutture alberghiere e attività di breefing a fine operazioni importo € 1.500,00 – (non congrua);

d) Binetti Capurso Girolamo  – Molfetta, per nolo autogru ed assistenza per il recupero a terra di ordigni (previsione gg.6 ) € 4.500,00;

e) Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Bari, per la presenza di n. 8 uomini (1 funz. 2 C.S. e 5 vigili) con mezzi ABP – AFNBCR per una spesa complessiva di € 18.930,00 così specificato: 1. per i precedenti interventi relativi all’ottavo, nono, decimo e l’attuale undicesimo intervento: € 18.874,00 ; 2. interessi legali dal 24.02.2014 al 09.06.2014 € 54,30;

f) Croce Rossa Italiana sezione di Molfetta la presenza per la durata delle operazioni di un’ambulanza perfettamente attrezzata con a bordo un medico, un infermiere professionale e personale paramedico contributo di € 800,00, quale rimborso spese per la disponibilità di figure professionali e mezzo di soccorso;

g) Foto REPLAY di Giuseppe Grillo (?), la presenza per la durata delle operazioni per realizzazione servizio fotografico e video del recupero e brillamento degli ordigni per l’importo complessivo di € 1.250,00 (foto e video ed 1 copia di foto stampate);

h) VARIE per assistenza ai VV.FF. mezzi di trasporto alle cave e in cava, materiali vari occorrenti e non previsti, ecc,  € 1.520,00.

La Determinazione Dirigenziale Settore Lavori Pubblici n. 248 del 23.10.2014, prevede una spesa complessiva di €. 55.000,00 ma la somma delle voci dalla a) alla h) è pari a €. 49.000,00. Alcune voci di spesa includono l’IVA altre no, manca completamente il codice CIG e poi non è chiara la richiesta dei Vigili del Fuoco che chiedono il pagamento dell’ottavo, nono e decimo intervento senza specificare le date e la quantificazione di ognuno. Il vitto e alloggio, per 6 giorni, dei 7 militari dell’esercito non è congruo e il fotoreporter non si chiama Grillo ma Cirillo. Insomma ancora una volta siamo di fronte a un atto amministrativo scritto malissimo e che andrebbe revocato.

Cogliamo l’occasione per sottolineare due dati che meritano un approfondimento. Perchè dal 2009 l’amministrazione comunale coinvolge la ferramenta Pedone di Bisceglie e non, a rotazione,  una ferramenta di Molfetta ? E poi, la presenza della Croce Rossa Italiana, in questi 6 giorni di attività, in sostituzione del SERMOLFETTA costerà alla collettività solo un “contributo” di € 800,00, quale rimborso spese per la disponibilità di figure professionali e mezzo di soccorso, poco più di 130 euro al giorno. Invece dal 2009, da quando hanno avuto inizio le operazioni di bonifica e trasferimento bombe, il SERMOLFETTA ha sempre chiesto e ottenuto dal sindaco Azzollini un “rimborso spese” che si aggirava tra i 400 e i 500 euro al giorno. Ora ci chiediamo, esagerava il SER a chiedere tanto, o è la C.R.I. a chiedere poco? Oppure è la storia del “volontariato”, in questa città, che andrebbe riscritta?

Bari bombardata, svelato il segreto: ecco perchè nessuno parlò dell’iprite

di Salvatore Schirone – www.barinedita.it

Svelato finalmente il vero motivo che spinse le Forze Alleate a secretare le cause e gli effetti del tragico bombardamento che devastò il porto di Bari il 2 dicembre 1943, causando il più grande disastro chimico della Seconda Guerra Mondiale. Sconcertante la rivelazione dello storico Francesco Morra: fu un sacrificio imposto ai baresi, che però salvò le sorti dell’intera guerra. Il risultato delle sua ricerca è stato licenziato venerdì scorso, 29 agosto, attraverso un documentario firmato dal regista Fabio Toncelli e andato in onda su Rai3, durante il programma “La grande storia“.

Facciamo un passo indietro e andiamo a quei tristi giorni di 71 anni fa. Tra le navi mercantili che nello scenario del Mediterraneo si muovono per approvvigionare di armi gli Alleati concentrati nel porto barese, c’è la “John Harvey“. Si era staccata dalla costa settentrionale dell’Africa in ottobre diretta a Bari. In segreto, trasporta 91 tonnellate di iprite, confezionato in 2000 bombe. L’iprite, sigla M-47, ma più noto come “gas mostarda” per il suo tipico colore bruno-giallognolo e l’odore di aglio, fu usato la prima volta durante la Grande Guerra nel 1915 a Ypri, città belga da cui prese il nome. I terribili effetti spinsero la comunità internazionale a sancire nel 1927 un protocollo per bandirne l’uso. Ne fu proibito l’uso, ma non la produzione.

La sera del 2 dicembre la flotta aerea tedesca, la terribile “Luftwaffe”, con un sofisticato stratagemma inganna i radar della contraerea e attacca praticamente indisturbata il porto barese distruggendo ben 18 delle 40 navi ormeggiate e irresponsabilmente illuminate anche di sera per consentire lo scarico continuo dei mezzi militari. Il ventre della Harey aveva già partorito metà del suo mortale carico sulla banchina quando saltò in aria in un boato che squarciò il nero fumo degli incendi, illuminando a giorno l’intera città. Fino a tutto il giorno successivo ci fu l’inferno, immortalato in decine di foto e pellicole (alcune inedite scovate da Morra nell’archivio militare americano) e stampato indelebile negli occhi umidi degli ultimi testimoni intervistati.

Ma quello che avvenne nei giorni seguenti fu ancora più sconcertante: centinaia di uomini videro comparire sui loro corpi strane vesciche. Nessuno parlò di iprite e quindi i medici si ritrovarono di fronte a qualcosa che non sapevano come curare. Morirono circa 250 persone, che si aggiunsero alle mille decedute durante l’attacco.

Per più di settant’anni gli storici si sono posti questa domanda: perché gli alleati mantennero il segreto della presenza di iprite anche nei giorni successivi all’esplosione, impedendo non solo la prevenzione ma anche la necessaria diagnosi e cura alle centinaia di militari e cittadini che durante i primi soccorsi vennero a contatto con il micidiale gas? Una domanda a cui finora non era mai stata data una risposta. Ma qui entra in gioco Francesco Morra, che dopo anni di ricerca condotta negli archivi tedeschi, britannici e americani, ha raccolto documenti inediti e interviste esclusive che gli hanno permesso di ricostruire dettagliatamente gli avvenimenti di quei giorni e di rispondere alla domanda che per anni ha continuato ad arrovellare le menti degli storici.

La risposta arriva quasi di straforo, in sordina, a tre quarti del documentario andato in onda sulla Rai. Gli Alleati furono “costretti” a mantenere il segreto perché il protocollo internazionale, sebbene ne proibisse l’uso, prevedeva il diritto di rappresaglia con iprite in caso di utilizzo dello stesso per primo da parte del nemico. Insomma se i tedeschi avessero saputo che gli inglesi detenevano l’iprite, si sarebbero riservati di utilizzarla anch’essi per fermare l’imminente sbarco in Normandia, che sei mesi dopo segnò praticamente l’inizio della fine della guerra e della caduta del Terzo Reich.

Appena visionato il documentario abbiamo intervistato l’autore.

Allora mantenere il segreto sull’iprite ha rappresentato una specie di tattica militare?

Si, gli americani erano “terrorizzati” dall’idea che se i tedeschi potessero venire a sapere della presenza di iprite sulla Harvey: i nazisti avrebbero usato la notizia come pretesto per legittimare un loro uso di gas in Normandia. E la cosa funzionò: i tedeschi non vennero a conoscenza dell’iprite. Nelle mie ricerche non ho trovato riscontri che dimostrino il contrario.

Perché ci sono voluti oltre settant’anni per arrivare alla verità?

Credo che finora nessuno abbia voluto investire soldi in questo lavoro. La ricerca storica ha dei costi: in questo caso è stato necessario muoversi tra Germania, Inghilterra ed Usa. Io ho avuto bisogno di finanziamenti e c’è voluto un produttore lungimirante e coraggioso come Roberto Dall’Angelo, della SD Cinematografica per poter portare a compimento la mia ricerca.

Non ha incontrato resistente “diplomatiche”?

In Gran Bretagna e Usa il sistema è molto trasparente. Esiste la regola dei “30 years rule”, cioè i documenti sono secretati solo per 30 anni (adesso scesi a 20), poi vengono resi pubblici. Ma se i documenti sono classificati come “secret”, l’apertura viene posticipata. Alcuni file su Bari sono stati desecretati solo negli ultimi anni.

Qualcosa però era già venuto fuori.

Glenn B. Infield pubblicò un libro nel 1971 in Usa, tradotto in Italia da Adda nel 1977 e ripubblicato nel 2003. Sembrava la parola definitiva, ma per me non poteva esserla. Infield infatti non disponeva dei documenti ancora secretati. Nel mio prossimo libro riporterò tutta la documentazione completa che ovviamente nel documentario non si poteva esplicitare.

Il documento scoperto che ritiene più importante?

Il verbale della riunione delle autorità portuali e militari che si svolse alle 14.15 del giorno 3 dicembre, immediatamente dopo il disastro. Questo documento fa la differenza. Infield asseriva che morti quelli della Harvey nessuno sapesse nulla del gas, in realtà il verbale mostra chiaramente che gli inglesi e gli americani erano a conoscenza di tutto e decisero di comune accordo, quel giorno, di porre il segreto militare sull’iprite.

2 Dicembre 1943: Inferno su Bari – La guerra in diretta – La Grande Storia del 29/08/2014

I misteri dell’iprite. Stasera su Rai3 il documentario

www.barilive.it

Andrà in onda su Rai 3, questa sera alle 21 il documentario d’inchiesta “2 Dicembre 1943: Inferno su Bari”.

Il filmato, diretto dal regista Fabio Toncelli e basato su progetto e ricerche storiche originali di Francesco Morra, fa parte della serie “La Grande Storia”.

«Si tratta della conclusione di un progetto di documentario d’inchiesta iniziato qualche anno fa – racconta Morra -, quando negli archivi militari di Friburgo, avevo ritrovato i messaggi dei ricognitori tedeschi su Bari nei giorni precedenti l’attacco del 2 dicembre 1943. Su Bari, sui misteri dell’iprite, sulle misure di segretezza messe in atto dalle Forze Alleate, c’erano ancora domande che mi ponevo e alle quali ho voluto dare risposte attraverso le ricerche per il documentario. Ricerche svolte negli archivi italiani, tedeschi e inglesi – oltre alle interviste agli ultimi testimoni oculari ancora in vita – che rivelano errori, reticenze, disorganizzazione da parte degli Alleati».

«Senza anticipare la visione del documentario, posso senz’altro anticipare che ci saranno molte sorprese rispetto alle conoscenze storiche sino ad ora acquisite», aggiunge.

Il bombardamento tedesco colpì la città di Bari il 2 dicembre del 1943 con oltre mille morti. Un disastro bellico, il secondo per gravità dopo quello di Pearl Harbour, e un disastro chimico: una nave colpita, la John Harvey, trasportava circa 100 tonnellate di bombe all’iprite, anche noto come il “gas mostarda“.

Il documentario in onda questa sera è impreziosito anche da ricostruzioni in computergrafica e mostrerà la testimonianza di George Southern, cannoniere sulla nave inglese Hms Zetland, presente a Bari il 2 dicembre 1943 e autore di un libro di memorie sul bombardamento.

Bombe sotto il mare e sulla spiaggia quei tuffi da brivido a Capo Teulada

di PAOLO BERIZZI – www.repubblica.it

Un gruppo di bambini gioca con palette e secchiello a pochi metri dalla coda di un razzo conficcato nella sabbia. Una coppia di fidanzati cammina in acqua sfiorando, senza accorgersi, la sagoma di un “suppostone” adagiato sul fondale antistante la battigia: infiliamo la maschera, scendiamo a vedere. È un proiettile da mortaio. Inesploso. Ne conteremo una dozzina, alcuni abbandonati sott’acqua, altri sparsi qua e là vicino a ombrelloni e asciugamani. Gli ordigni più piccoli non misurano meno di mezzo metro. Eccoli lì, roventi sotto il sole, ai piedi delle dune. Pochi quelli squarciati, e dunque già esplosi. Fossero anche, queste bombe, dei «corpi inerti», come si dice in gergo militare, vederle in mezzo ai bagnanti fa impressione.

Non siamo in un campo di Hamas. Nemmeno sulle coste israeliane in tempi di missili. Siamo a Capo Teulada, sud della Sardegna, uno dei tratti di costa più belli dell’isola che da 40 anni, in un’altalena di convenienza reciproca, proteste, compromessi da real politik, “sopporta” il peso di 35mila ettari di terreno coperti da servitù militari. La spiaggia delle bombe si chiama Cala Zafferano. Mare cristallino, sabbia bianca, morbide dune. Sarebbe una normale spiaggia da cartolina se non fosse che la geografia la colloca all’interno della vasta area — 7.500 metri quadrati — della base militare Nato, il Poligono di Teulada. È un campo di addestramento interforze dove dagli anni ‘70 i soldati simulano offensive belliche e piani di difesa, sbarchi e bombardamenti aerei. Un via vai di cacciabombardieri, navi appostate al largo, carriarmato che sganciano razzi e ordigni di ogni tipo.

Le esercitazioni avvengono soprattutto in inverno e sono sottoposte ai rigidi protocolli di sicurezza della Nato. Così fino a febbraio-marzo. Poi arriva la primavera, e poi l’estate e l’estate a Cala Zafferano non porta fregate militari e mezzi cingolati ma barche: motoscafi, gommoni, vele. Benché un’ordinanza stabilisca che la permanenza sulla spiaggia sia vietata, a luglio e agosto un “esercito” di bagnanti la invade senza che nessuno, né militari né amministratori, batta ciglio. Né si curi dei rischi legati alle “bombe inesplose” sfuggite alle bonifiche, pure puntuali, post-esercitazioni. 

La spiaggia è accessibile solo via mare: decine di famiglie la raggiungono ogni giorno. Repubblica racconta ora – ultimo sopralluogo ieri, venerdì primo agosto – la situazione di Cala Zafferano. Foto e video esclusivi mostrano che cosa c’è in questa spiaggia, quali pericoli corra chi la frequenta e l’ambigua anomalia di un pezzo di litorale formalmente vietato ai bagnanti, ma nella pratica frequentatissimo ogni giorno, e nella disponibilità di tutti. “Zona militare, pericolo bombe inesplose”, avvertono i cartelli. Arriviamo in gommone. Appena sbarcati ci imbattiamo in un lungo “tappeto” di ferro bucherellato: è il cingolo di un carroarmato. Arrugginito, è srotolato sulla spiaggia e un padre di famiglia ci ha appoggiato sopra una borsa termica. Ci sono bambini che giocano. Un po’ più in là c’è un’ogiva di mortaio, un fumogeno inesploso nella sua capsula di ferro, proiettili da esercitazione da 4,500 e da 10 chili. Spiega una fonte militare: “Nelle esercitazioni si spara a salve, la carica è dimezzata. Ma se un ordigno dovesse esplodere accanto o sotto i piedi di un bagnante, lo fa a pezzi”.

Nicola ha 9 anni, viene da Cagliari. “Guarda papà!”. Indica una “bombetta di spessore” da 2 kg, si chiamano così. Affonda nella sabbia, spunta solo il collo, tipo una bottiglia tozza. Marrone scuro. Non è il caso di estrarla per capire che è intatta. Vengono i brividi. Cento metri oltre, sempre lungo la spiaggia: ombrelloni e teli. La rada piena di barche. Gente che fa il bagno. Giù in fondo verso gli scogli affiorano altri residuati bellici: un’ogiva in acciaio “fuso forata”. Mancano il tubo e la piastra di base. In teoria è, o era, piena di tritolo e amatolo. Materiale da strage. È tutto talmente in vista che nessuno, men che meno i militari che hanno avvisato coi cartelli, può supporre che qualsiasi avventore di passaggio a Cala Zafferano faccia dell’inutile sensazionalismo. ” È una situazione pericolosissima – dice Elisa Monni, del comitato “Amparu” (“proteggimi”, in sardo) – . Per non parlare dell’uranio delle bombe sganciate nel poligono che ha spappolato i polmoni ai teuladini“. Ciò che non si vede bisogna cercarlo. In mare. Vicino riva. Bastano maschera e boccaglio. Guardi il fondale: dove ancora si tocca. Fossero solo i bossoli da arma da fuoco, ormai verdi perché ossidati. C’è anche una bomba. Grigia, ogiva rossa. Potrebbe essere una S. A. P da 15 kg.

Settantacinque centimetri di lunghezza. Inerte? Quando si è “persa” sul fondale (1,80 cm)? E se esplodesse? Dice la scrittrice Michela Murgia, terza alle ultime elezioni regionali: “Dove terra, cielo e mare sono invasi dalle sparatorie non è possibile esercitare l’agricoltura, la pesca e il turismo in modo da garantire la salute umana. Nessuna compensazione economica ai singoli operatori può essere messa a confronto con la compromissione dei territori. L’unica risposta ai teuladini è la chiusura del poligono e la bonifica dell’area“. Già. Da Roma però arrivano altri segnali. In una specie di valzer dell’equivoco, o forse no, il governo ha rilanciato con 20 milioni di euro per il potenziamento. La regione protesta, ma per denaro sembra disposta a trattare. “La stessa risposta degli ultimi sessant’anni – conclude Murgia – . E i teuladini – 17% di affluenza alle urne – a votare non vanno più”. Per la cronaca: quest’estate, forse per stemperare i malumori degli abitanti, i vertici del poligono hanno lanciato una specie di campagna spiagge (militari) aperte al pubblico. Due. Dal lato opposto di Cala Zafferano. C’è un piantone che sorveglia gli ingressi: parcheggi e vai a fare il bagno. Nella spiaggia degli ordigni no. I soliti cartelli “pericolo bombe inesplose“, anche in inglese. Ultimo tuffo in mezzo alle bombe. Dopo la scogliera. In mezzo a due ali di gommoni, a tre metri di profondità, spunta il siluro: una bestia da 100 kg. Per fortuna ha uno squarcio sulla coda.

Il CBM diffida il Sindaco e informa il Prefetto e il Procuratore capo della Procura di Trani

RIPRENDE LA BONIFICA NELLE ACQUE DEL PORTO E NON A TORRE GAVETONE. CHIEDIAMO PUBBLICAMENTE IL PERCHE’ ALLE ISTITUZIONI LOCALI E REGIONALI. E’ PIU’ IMPORTANTE UN’ OPERA PUBBLICA CHE NON SARA’ MAI ULTIMATA O LA SALUTE E LA SICUREZZA DELLE MIGLIAIA DI PERSONE CHE FREQUENTANO TORRE GAVETONE? IL PORTO E’ SEQUESTRATO DALL’OTTOBRE 2013, TORRE GAVETONE NO…

Al Sindaco della Città di Molfetta
e p.c.
Al Prefetto di Bari
Al Procuratore Capo presso la Procura di Trani

Oggetto: Diffida a rispondere a sollecito del 30 Aprile 2014 prot. n. 29404 e a interrogazione e richiesta di informazioni sulla balneabilità e sulla bonifica bellica nello specchio acqueo antistante Torre Gavetone del 28 Marzo2014 prot. n. 22377.

Il sottoscritto Matteo d’Ingeo, in qualità di portavoce-presidente del C.B.M. (COMITATO CITTADINO PER LA BONIFICA MARINA A TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE E ALL’AMBIENTE SALUBRE di Molfetta) premesso:

– di aver chiesto al Sindaco di Molfetta, con nota n. 22377 del 28 Marzo2014 (All. n.1) se la balneazione a Torre Gavetone fosse ancora vietata e se il suo ufficio intendesse far rispettare il divieto con una corretta informazione preventiva a salvaguardia della salute e sicurezza pubblica; se nei fondali marini antistanti Torre Gavetone, all’interno delle coordinate riportate nell’ordinanza n.3 del 03/02/2011, giacciano bombe a vista sui fondali, oppure ordigni a caricamento chimico cementati nella roccia; se i fondi destinati alla bonifica di Torre Gavetone stanziati dalla Regione con delibera n.2884 del 20.12.2011 sono stati già utilizzati o in fase di programmazione; senza ricevere alcuna risposta;

– di aver presentato sollecito a rispondere il 30 Aprile 2014 con nota n. 29404All. n.2 ); senza ricevere alcuna risposta;

– di aver appreso del divieto di balneazione in zona Torre Gavetone dall’Ordinanza Sindacale n. 37666 del 6.6.2014 ( All. n.3 );

di aver appreso dai comunicati stampa del Comune e dell’azienda Municipalizzata (MTM- Mobilità e trasporti Molfetta) che esiste una fermata per il servizio spiaggia denominata Torre Gavetone (nonostante il divieto di balneazione);

– di avere notizia che la spiaggia libera di Torre Gavetone è frequentata da migliaia di cittadini senza che Polizia Municipale, Capitaneria di Porto e Forze dell’Ordine facciano rispettare il divieto di Balneazione;

– di avere notizia che la spiaggia di Torre Gavetone è anche frequentata da un ambulante conosciuto come essere Cristoforo Brattoli (omicida del sindaco G. Carnicella) che vende bibite, e altro, nonostante ci sia il divieto d’accesso a mezzi motorizzati (non è chiaro come faccia ad entrare se esiste una barra con lucchetto) (All. n. 4-5);

in considerazione delle notizie di stampa, e i comunicati stampa del Comune di Molfetta, che preannunciano l’imminente ripresa della bonifica bellica del porto di Molfetta;

chiede alla S.V. :

– di ottenere le risposte alle note inevase del  28 Marzo 2014 n. 22377 e n. 29404 del 30 Aprile 2014 ;

– di conoscere il perché, la ripresa della bonifica annunciata in queste ore, e prevista dall’Accordo di Programma delPIANO DI RISANAMENTO AMBIENTALE DELLE AREE PORTUALI DEL BASSO ADRIATICO”, rimodulato dalla Giunta Regionale con Atto N°2884 del 20/12/2011, che prevedeva l’utilizzo della somma stanziata in precedenza di Euro 5.000.000,00, unicamente per la bonifica del Porto di Molfetta e di Torre Gavetone, non preveda contestualmente la bonifica del tratto di mare antistante Torre Gavetone, per il CBM di assoluta priorità per la salvaguardia della salute pubblica;

In attesa di risposte celeri e certe, vista la delicatezza degli argomenti, si rimane a disposizione per ulteriori chiarimenti e disponibili all’incontro già precedentemente richiesto.

Cordiali saluti.

Il Comitato Bonifica Molfetta dice no alle trivellazioni e si alla bonifica del basso Adriatico

 

Dott. Gian Luca Galletti 
Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare,
segreteria.ministro@pec.minambiente.it
Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare
Via Cristoforo Colombo 44
00147 Roma
Dott. Mariano Grillo
Direzione Generale per le Valutazioni Ambientali – Divisione II Sistemi di Valutazione Ambientale
Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare
Via Cristoforo Colombo 44
00147 Roma
dgsalvaguardia.ambientale@pec.minambiente.it
Responsabile dei procedimenti
Dott.ssa Carmela Bilanzone
bilanzone.carmela@minambiente.it

Oggetto: Osservazioni all’istanza per l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale del progetto di: “Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare” – Intervento di indagine geofisica 2D, ed eventuale 3D, nell’area dell’istanza di permesso di ricerca in mare; il progetto è localizzato nel bacino dell’Adriatico meridionale, all’interno dell’area marina “F”, al largo delle coste pugliesi e comprende le sottozone, d80 F.R-.GP ; d81 F.R-. GP ; d82  F.R-.GP ;  d83  F.R-.GP. Richiesta di rigetto del progetto.

ll “Comitato cittadino per la Bonifica marina a tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre”, di seguito denominato Comitato Bonifica Molfetta (CBM), registrato il 3 Aprile 2014 con il n. 8987/3, con sede in Via F.Campanella, 50, Molfetta (Ba), avendo come finalità statutaria “la tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre”, espone quanto segue.

Premesso che,

– il Dirigente Settore Territorio del Comune di Molfetta, con avviso pubblico n. 40446 del 19 giugno 2014 informava che la Società Global Petroleum Limited, con sede legale in Toowong Tower Level 5, 9 Sherwood Road, Toowong QLD 4066, Australia, aveva inviato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., l’istanza per l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale del progetto di: “Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare” – Intervento di indagine geofisica 2D, ed eventuale 3D, nell’area dell’istanza di permesso di ricerca in mare; il progetto è localizzato nel bacino dell’Adriatico meridionale, all’interno dell’area marina “F”, al largo delle coste pugliesi e comprende le sottozone, d80 F.R-.GP ; d81 F.R-. GP ; d82  F.R-.GPd83  F.R-.GP;

– la sottozona “d80 F.R-.GP”, ricopre una superficie di 742 Km2. Il punto più a nord dista 56,7 miglia nautiche da Vieste, il punto più a sud 36,7 miglia nautiche da Monopoli, mentre il punto più vicino alla costa è il vertice sud-occidentale dell’area, che dista oltre 34 miglia nautiche dalle coste pugliesi (34,6 miglia nautiche da Mola di Bari); per quanto riguarda l’indagine geofisica 2D, il progetto prevede l’acquisizione di un totale di circa 265 km di linee sismiche utilizzando la tecnologia air-gun; per l’eventuale indagine 3D, è prevista l’acquisizione con la tecnologia air-gun su un’area di circa 50 km2; obiettivo principale del progetto è l’individuazione di nuove riserve di giacimenti offshore ed una eventuale successiva fase di sfruttamento degli stessi;

la sottozonad81 F.R-.GP”, ricopre una superficie di 744,7 Km2. Il punto più a nord dista 69,9 miglia nautiche da Vieste, il punto più a sud 42,1 miglia nautiche da Brindisi, mentre il punto più vicino alla costa è il vertice sud-occidentale dell’area, che dista oltre 34 miglia nautiche dalle coste pugliesi (34,5 miglia nautiche da Monopoli); per quanto riguarda l’indagine geofisica 2D, il progetto prevede l’acquisizione di un totale di circa 235 km di linee sismiche utilizzando la tecnologia air-gun; per l’eventuale indagine 3D, è prevista l’acquisizione con la tecnologia air-gun su un’area di circa 50 km2; obiettivo principale del progetto è l’individuazione di nuove riserve di giacimenti offshore ed una eventuale successiva fase di sfruttamento degli stessi;

la sottozonad82 F.R-.GP”, ricopre una superficie di 745,9 Km2. Il punto più a nord dista 49,6 miglia nautiche da Vieste, il punto più a sud 28,8 miglia nautiche da Bari, mentre il punto più vicino alla costa è il vertice sud-occidentale dell’area, che dista oltre 27 miglia nautiche dalle coste pugliesi (27,3 miglia nautiche da Mola di Bari); per quanto riguarda l’indagine geofisica 2D, il progetto prevede l’acquisizione di un totale di circa 280 km di linee sismiche utilizzando la tecnologia air-gun; per l’eventuale indagine 3D, è prevista l’acquisizione con la tecnologia air-gun su un’area di circa 100 km2; obiettivo principale del progetto è l’individuazione di nuove riserve di giacimenti offshore ed una eventuale successiva fase di sfruttamento degli stessi;

la sottozonad83 F.R-.GP”, ricopre una superficie di 742,6 Km2; Il punto più a nord dista 49,6 miglia nautiche da Vieste, il punto più a sud 36 miglia nautiche da Brindisi, mentre il punto più vicino alla costa è il vertice sud-occidentale dell’area, che dista 35,9 miglia nautiche dalle coste pugliesi (Brindisi); per quanto riguarda l’indagine geofisica 2D, il progetto prevede l’acquisizione di un totale di circa 265 km di linee sismiche utilizzando la tecnologia air-gun; per l’eventuale indagine 3D, è prevista l’acquisizione con la tecnologia air-gun su un’area di circa 100 km2; obiettivo principale del progetto è l’individuazione di nuove riserve di giacimenti offshore ed una eventuale successiva fase di sfruttamento degli stessi;

considerato che,

al termine della seconda guerra mondiale in violazione della Convenzione di Ginevra gli alleati angloamericani, hanno scaricato sui bassi fondali e al largo del basso Adriatico tra Manfredonia e Otranto, migliaia di ordigni caricati con aggressivi chimici, in particolare iprite, fosforo e cloruro di benzene, vietati dalle convenzioni internazionali;

in questo gigantesco cimitero molti involucri delle bombe proibite, che risultano in gran parte deteriorati dall’azione corrosiva del mare,  sono già nocivi all’ecosistema marino e pericolosi per gli operatori della pesca; il progetto RED COD (Research on Environmental Damage caused by Chemical Ordnance Dumped at Sea – contratto numero B4 – 3070/2003/3686585/SUB/D.3) con cui la Commissione europea ha co-finanziato l’approfondimento delle ricerche sul tema che l’ICRAM (oggi ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e avviato nel 1997 su alcune aree campione, ha individuato ben 20 mila ordigni in quattro aree campione; in realtà, si stima che le bombe proibite inabissate siano circa 1 milione;

nel 2012 – in risposta all’interrogazione numero 4/15092 posta dall’On. Ermete Realacci  il ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, tra le altre cose, ha precisato che:

…“ Si soggiunge, in ultimo, che l’istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale (Ispra) ha chiarito che la bonifica delle cosiddette «aree di affondamento» di ordigni costituisce una problematica di difficile soluzione per motivi di carattere sia tecnico che economico, in quanto:

– l’affondamento di residuati bellici, dopo il secondo conflitto mondiale – così come in altre parti del mondo – è spesso avvenuto, per minimizzare i costi, in fondali non ufficialmente segnalati e non in quelli prescritti;

– l’attività della pesca a strascico, protrattasi nei decenni, ha determinato una consistente estensione delle aree «a rischio», poiché, a seguito di eventi di raccolta accidentale, i residuati bellici sono stati successivamente riaffondati in aree prima sgombre;

i residuati bellici a caricamento chimico si trovano in uno stato di conservazione pessimo, a seguito della prolungata azione della corrosione marina; ciò determina ulteriori difficoltà di rimozione ed elevati rischi per gli operatori, oltre a richiedere l’impiego di mezzi tecnologicamente avanzati, con conseguente aumento dei costi;

– l’ISPRA ha, inoltre, specificato che, fra le iniziative volte a minimizzare il rischio per gli ambienti marini e per chi opera in mare, potrebbe essere presa in considerazione la costituzione di un gruppo di esperti ad hoc, con il compito di stabilire priorità e modalità di intervento (prospezione, indagini ambientali e bonifica necessaria) per affrontare la complessa problematica;

in conclusione, nel ribadire che la ricerca e la neutralizzazione su terra e in mare di ordigni esplosivi rientrano nelle attività di tipo concorsuale – che esulano dai compiti prioritari delle Forze armate e sono condotte su richiesta dei Dicasteri/Autorità competenti (sui quali ricadono gli oneri di spesa) – si conferma la disponibilità della Difesa a valutare con la massima attenzione le richieste di intervento…”;

la maggior parte delle bombe caricate all’iprite, o di altra sostanza chimica, provengono dalle stive delle 17 navi affondate nel porto di Bari durante il bombardamento tedesco del 2 dicembre 1943; la nave americana John Harvey, aveva la stiva ancora piena di “bombe all’iprite” (ciascuna bomba, conteneva circa 30 kg. di iprite, un gas tossico e vescicante, dal caratteristico odore di aglio; con otto bombe si poteva contaminare completamente oltre un ettaro di terreno); le navi americane avevano nelle stive contenitori e bombe all’iprite messi fuori legge dalla convenzione di Ginevra del 1925; durante le operazioni di recupero degli ordigni si accertò che più navi statunitensi, giunte nel porto di Bari, avevano nelle stive armi caricate con altri aggressivi chimici: acido clorosolforico, cloropicrina, cloruro di cianogeno; le operazioni di bonifica del porto iniziarono nel 1947 e si protrassero per alcuni anni; per dare un’idea della quantità immane dei vari ordigni recuperati, è sufficiente leggere i rapporti che settimanalmente venivano inviati ai diversi Ministeri interessati ed alla Prefettura; da questi risulta che i soli ordigni chimici caricati ad iprite assommarono a ben 15.551 bombe d’aereo e 2.533 casse di munizioni (ovviamente il quantitativo di munizionamento ordinario recuperato fu di gran lunga superiore); le operazioni consistevano nel recupero dei vari ordigni, dai fondali del porto, e nel loro caricamento su appositi zatteroni e successivamente apposite ditte civili trasportavano al largo questi zatteroni e ne affondavano il carico su fondali del nord barese fino a 25 miglia e alla profondità tra 800 e 1000 metri;

–  durante la fine degli anni ’90, durante il conflitto in Kosovo, fu diffusa dalla Capitaneria di Porto di Molfetta una mappa che indicava alcune delle undici zone di rilascio dei caccia bombardieri NATO ( Allegato n.1 ); la mappa fu utilizzata nel 2001, in tutta la Puglia, dalla Legambiente per la campagna pacifista “Via le bombe da un mare di pace”, per la bonifica dei fondali del basso Adriatico;

 

Allegato n.1

che il 28 dicembre 2001, con la legge Finanziaria 448, art.52, comma 59, fu varato l’accordo di programma per la definizione del “Piano di risanamento del basso Adriatico”, destinando la somma di € 5milioni di euro a valere sui fondi della Legge 426/1998. Con Decreto del 10 Marzo 2006, i Ministeri dell’Economia e dell’Ambiente individuavano la Regione Puglia quale unica regione interessata alla realizzazione del “Piano di Risanamento del Basso Adriatico” di cui all’art. 52, comma 59 della L. 448/01.. Con Deliberazione n. 166 del 17 febbraio 2009, la Giunta della Regione Puglia approvava l’accordo di programma e individuava come aree d’intervento della prima fase di bonifica, quelle comprese tra il faro di Vieste e Capo d’Otranto ed in particolare il Porto Vecchio di Manfredonia, Porto di Molfetta, Porto nuovo di Bari, area costiera di Torre Gavetone ed isolotto di Sant’Emiliano;

con la Del. n. 2884 del 20 dicembre 2011 la Regione Puglia rimodula l’accordo di Programma e destina l’intera somma di 5milioni di euro (Articolo 52, comma 59, Legge Finanziaria 28 Dicembre 2001, n. 448) alla bonifica del Porto di Molfetta ed allo specchio d’acqua antistante Torre Gavetone ( tra Molfetta e Giovinazzo);

la bonifica ad oggi è bloccata per il sequestro del cantiere portuale di Molfetta in seguito ad un’indagine della Procura di Trani, “Operazione D’Artagnan”, che ha portato all’arresto di due persone ed altre 60 indagate (si leggano le Ordinanze della Capitaneria di Porto di Molffetta n. 3/2011, n. 62/2013 e n.23/2014 in cui si indicano le coordinate degli ordigni sotto costa);

–  la nave cisterna per prodotti chimici, ALESSANDRO I (video), varata nel 1983, battente bandiera italiana e proprietà del gruppo “Trasmare”, affondò il primo febbraio 1991 a 5 km al largo di Molfetta e Bisceglie, con un carico di 3.550 tonnellate di fusti con rifiuti tossici (dicloretano e acrilonitrile) prodotti dall’Enichem, di cui solo alcuni furono recuperati dopo l’incidente;

tenuto conto che,

il programma di lavori presentato dalla Società Global Petroleum Limited prevede una serie di prospezioni geofisiche con sorgente  di  energia che emette onde elastiche e una serie  di  sensori,  detti  idrofoni,  che  ricevono  le  onde  riflesse; le onde elastiche sono ottenute   con diverse tecnologie  che fanno uso di sorgenti  artificiali  differenti: ad acqua WATER-GUN (frequenza   utilizzata 20-1500Hz) costituito da un cannone ad aria compressa che espelle ad  alta  velocità  un  getto che per inerzia crea una cavità che implode e genera un segnale  acustico;  ad   aria   compressa:   AIR-GUN (frequenza utilizzata 100-1500Hz) costituita da   due   camere   cilindriche   chiuse   da   due   pistoni (pistone di innesco e di scoppio)   rigidamente   connessi   ad   un   cilindro   provvisto   di   orifizio   assiale   che   libera   in   mare,   istantaneamente,   aria   ad   una   pressione,   compresa  tra  150  e  400  atmosfere  (ad  oggi  il  sistema  maggiormente  utilizzato);

le  attività  di  perforazione  sono  strettamente  legate  ai  risultati  delle  indagini  sismiche  e   verranno svolte, eventualmente, in  acque profonde da  1060  a  1140  metri,  pertanto,  si  prevede  di  utilizzare  una  piattaforma  semisommergibile per la  perforazione  di  un  pozzo  esplorativo e poi quelle di sviluppo del pozzo;

 – le prospezioni geofisiche che si vorrebbe condurre con tecniche Air-Gun (e simili), le future trivellazioni di pozzi provvisori e definitivi, non sono mai state messe in correlazione con le migliaia di ordigni bellici affondati nelle 4 sottozone di cui si chiede l’indagine e nelle altre zone confinanti anche di parecchie miglia; non sono stati valutati, dalla società richiedente, i possibili effetti sinergici e cumulativi sugli ordigni bellici a caricamento chimico, sia delle onde sismiche prodotte dalle ispezioni con air-gun che dalle perforazioni;

in tutti i progetti per le quattro zone d’indagine si parla delle possibili opere di mitigazione delle Aree   Marine   Protette,   delle   Zone   di   Ripopolamento   e   le   Zone   Marine   di   Tutela   Biologica,  dei  siti  sensibili  di  Rete  Natura  2000,  dei SIC, delle  zone  marine  e  costiere  interessate  da  “Important  Bird  Areas”, ma non è stata scritta una sola parola sulla vasta aerea che spesso è sovrapposta, o confinante, alle quattro zone d80 F.R-.GP, d81 F.R-.GP, d82 F.R-.GP,  d83  F.R-.GP, rappresentata dalle zone di affondamento di ordigni bellici indicata nelle mappe militari, nautiche e le stesse fornite dalla Società Global Petroleum Limited e indicate chiaramente con la dicitura “ ORDIGNI INESPLOSI ”; anzi diremo che la società ha ignorato il problema più grave, e significativo, che potrebbe interferire con le indagini geofisiche e perforazioni nel basso adriatico con possibili disastri ambientali e pericolosi per la salvaguardia dell’ecosistema e della salute pubblica ( All. n. 2-3-4-5);

per quanto osservato, il C.B.M. di Molfetta chiede alle SS.VV. di rigettare le istanze della Società Global Petroleum Limited, per l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale dei progetti di: “Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare” – Intervento di indagine geofisica 2D, ed eventuale 3D, nell’area dell’istanza di permesso di ricerca in mare; il progetto è localizzato nel bacino dell’Adriatico meridionale, all’interno dell’area marina “F”, al largo delle coste pugliesi e comprende le sottozone, d80 F.R-.GP ; d81 F.R-. GP ; d82  F.R-.GP;  d83  F.R-.GP.

Tale richiesta di rigetto si fonda sulla mancanza di una qualsiasi proposta di mappatura, prospezione e georeferenziazione degli ordigni inesplosi presenti in una vastissima area sovrapposta o confinante, non solo con le zone d’indagine interessate alle odierne richieste, ma anche di altre sotto costa. Ricordando ancora le parole del Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola che: ” i residuati bellici a caricamento chimico si trovano in uno stato di conservazione pessimo, a seguito della prolungata azione della corrosione marina; ciò determina ulteriori difficoltà di rimozione ed elevati rischi per gli operatori, oltre a richiedere l’impiego di mezzi tecnologicamente avanzati, con conseguente aumento dei costi”; lasciamo immaginare cosa accadrebbe se pur una sola bomba caricata ad iprite, o altra sostanza chimica, fosse casualmente incrociata da una trivella o dall’azione di un potente air-gun. Purtroppo non parliamo di una sola bomba ma di migliaia di bombe sparse a macchia di leopardo, dalla costa fino a 40 miglia al largo, e dal faro di Vieste ad Otranto (Allegato n. 6).

In conseguenza di quanto sopra elencato, ai sensi dell’articolo 20 comma 3 e dell’articolo 24, comma 1,2,3,4 del Decreto Legislativo 152/2006, che consente a ogni cittadino italiano di presentare in forma scritta le proprie osservazioni sui progetti sottoposti a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e ai sensi della Convenzione di Aarhus, recepita anche dall’Italia, la quale afferma che le popolazioni hanno il diritto di esprimere la propria opinione su proposte ad alto impatto ambientale e che l’opinione dei cittadini deve essere vincolante,

CHIEDE

•che le sopra descritte “osservazioni” vengano considerate (artt. 24, commi 4° e 5°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., 3 della legge n. 241/1990 e s.m.i.) nell’ambito del presente procedimento di valutazione di impatto ambientale – V.I.A.;

• che il provvedimento conclusivo del procedimento di V.I.A. dichiari l’incompatibilità ambientale dei progetti proposti ai sensi dell’art. 26 del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni a causa dell’insostenibilità degli impatti sull’ecosistema, sulla salute pubblica e sulla fauna marina e in applicazione del fondamentale principio di precauzione (artt. 174 Trattato U.E., 3 ter del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.);

Molfetta, 28.07.2014

per il Comitato Bonifica Molfetta

Matteo d’Ingeo

Ancora abbondante la presenza dell’alga tossica tra Molfetta e Bisceglie

Nel primo pomeriggio l’ARPA Puglia ha diffuso i dati riguardanti il monitoraggio dell’ “Ostreopsis ovata” nella prima quindicina del mese di Luglio, allo scopo di verificare eventuali fenomeni di fioritura della microalga, potenzialmente tossica. Permane la preoccupazioni del dato riguardante il punto a “500mt sud fogna citt.na Bisceglie” con 6.156.045 cellule, in acque fondo, e 41.120 cellule, in acque colonna.

I dati precedenti erano di 6.318.531 cellulle, in acque fondo, e 398.140 cellule, in acque colonna. Tenendo conto che il  limite è di 10.000 cellule/litro in colonna d’acqua per l’insorgenza di un eventuale rischio sanitario l’allerta rimane sempre alta.

Il dato rimane critico ed enigmatico, sempre in considerazione che in quel tratto di mare dal 2008 al 2013, nello stesso periodo e fino alla prima quindicina di luglio, i parametri erano di “zero” cellule. Pertanto ancora una volta chiediamo alle autorità preposte e ai sindaci delle due città cosa stia accadendo di grave in quel territorio, anche alla luce delle dichiarazioni del sindaco di Molfetta che ipotizzava la possibile confluenza di scarichi industriali anomali sversati nella fogna cittadina senza alcun trattamento.

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