Per il processo del nuovo porto di Molfetta saranno ascoltati il cap. Giambattista Acquatico, l’operatore subacqueo Claudio BUOSO e l’ex ass. Pietro UVA

Presso il Tribunale di Trani, domani 19 novembre alle ore 14.00, prosegue speditamente il processo sulla costruzione del nuovo porto di Molfetta. Il collegio giudicante presieduto dalla Presidente Dott.ssa Marina Chiddo, e dai giudici a latere Dott.sse Sara Pedone e Claudia Pizzicoli, ascolteranno altri testi. Saranno interrogati dal Pubblico Ministero Dott. Giovanni Lucio Vaira, il Capitano di Fregata Giambattista Acquatico, Comandante del Nucleo S.D.A.I. (Sminamento e Difesa Antimezzi Insidiosi); Giacomo Claudio BUOSO, un sommozzatore che ha partecipato alle varie fasi della bonifica dei fondali marini dell’area portuale. E’ stato convocato dal Pubblico Ministero anche l’ex assessore avv. Uva Pietro, ma probabilmente la sua testimonianza sarà rinviata al prossimo 3 dicembre.

Le testimonianze di Acquatico e Buoso riguarderanno le operazione di bonifica sistematica dell’area portuale di Molfetta, nell’ambito delle attività regolate dall’“Accordo di Programma per la caratterizzazione e la bonifica da ordigni bellici ai fini del risanamento ambientale del Basso Adriatico”, redatto e sottoscritto, nel Novembre 2007, tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Regione Puglia, Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare (I.C.R.A.M) ed Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Puglia (A.R.P.A.).

Per dare attuazione al suddetto accordo, la Regione Puglia, in qualità di membro esecutore dell’AdP, siglò, nel settembre 2008, un apposito Protocollo d’Intesa con lo Stato Maggiore della Marina Militare, successivamente integrato, nel settembre 2009, con una “Convenzione per la permuta di prestazioni finalizzata alla caratterizzazione e la bonifica da ordigni bellici ai fini del risanamento del Basso Adriatico” con la quale la MM si impegnava a realizzare la bonifica, ad opera dei propri Nuclei SDAI, dei residuati bellici, segnalati in esito a prospezioni condotte a cura dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (I.S.P.R.A., Ente che nel frattempo aveva assorbito i compiti dell’ICRAM). La Regione Puglia, di contro, si impegnava ad assicurare, in favore della M.M.I., la fornitura di combustibile navale distillato (F- 76) di valore pari alle prestazioni fornite e sino al raggiungimento delle risorse economiche rese disponibili, per un ammontare di € 2.300.000,00.

Dall’esame della documentazione che Giacomo Claudio BUOSO ha esibito in sede di sommarie informazioni testimoniali è emerso un dato inquietante: anche la certificazione di area sgombra da ordigni bellici che ZANNINI ha prodotto in data 08.05.2012, per i lavori di prolungamento della Diga Antemurale, è risultata essere non veritiera.

Infatti leggendo la descrizione di Buoso (elenco n.1) e confrontandola con quella di Zannini (elenco n.2) si noterà come gli ordigni diventavano semplici target  metallici e “una bomba di aereo chimica di cm 38×80 con spoletta (WP415)” era diventata “un cilindro metallico” di cm 38×80. 

Sicuramente molto interessanti saranno le dichiarazione del Capitano Acquatico circa la situazione della bonifica bellica e il numero degli ordigni recuperati o distrutti alla data del 30.06.2013.

Processo sul porto di Molfetta, si è concluso il lungo esame del Lgt. della Guardia di Finanza Roberto Serafino

Si è tenuta oggi una nuova udienza per il processo sul nuovo porto di Molfetta. Nelle ultime udienze si è proceduto all’esame del Luogotenente Roberto Serafino in servizio presso il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Bari, Sezione Anticorruzione, autore di diverse e corpose informative redatte nell’ambito delle indagini preliminari. Una lunga narrazione dalla genesi dell’inchiesta e dall’analisi delle forniture, il dubbio sulla qualità del materiale che giungeva in cantiere, la mancata tutela del posidonieto d’interesse comunitario, le ispezioni nelle cave, le fasi dei dragaggi e i ritardi delle relative autorizzazioni, i reati ambientali, il mancato rispetto delle prescrizioni ministeriali, la presenza di ordigni e l’occultamento di parte di essi, e tanto altro ancora. Nella prossima udienza, prevista per il prossimo 23 aprile, è previsto il contro-esame del  teste Roberto Serafino da parte degli avvocati delle parti civili del Ministero dell’Ambiente e dell’Interno, della Regione PugliaComune di Molfetta, della LegambienteCircolo di Molfetta” e del “Comitato cittadino per la bonifica marina a tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre (Comitato Bonifica Molfetta) e dei difensori degli imputati

Dopo la sentenza breve del 5 marzo scorso, escono di scena cinque imputati; Barbara Luca, Didone Maurizio, Mattiello Giuseppe per alcuni reati andati in prescrizione e l’estinzione del reato per morte di Matteucci Massimo e Scrimieri Pietro, ora il processo continua nei confronti di 36 imputati e non più 41.

Riteniamo degna di nota la prescrizione dei reati dell’ex Tenente Giuseppe Mattiello, oggi Capitano, che era stato rinviato a giudizio con Vincenzo Balducci (per Mattiello i reati sono prescritti, invece Balducci ha rinunciato alla prescrizionein relazione ai reati di cui agli artt. 317 (entrambi), 378 (solo il Mattiello) c.p., 196, commi 1 e 2, c.p.m.p. (solo il Mattiello), perché, entrambi pubblici ufficiali. 

Il Mattiello, quale ex Comandante della Tenenza G.d.F. di Molfetta e il secondo, quale dirigente del Settore dei Lavori Pubblici del Comune di Molfetta, abusando delle rispettive qualità e poteri, tenevano le seguenti condotte minatorie con le quali costringevano e, comunque, inducevano i marescialli della Guardia di Finanza Giuseppe Ciullo e Pio Crispino, entrambi in servizio presso la Tenenza G.d.F. di Molfetta ed impegnati in attività di polizia giudiziaria presso il cantiere del nuovo porto commerciale di Molfetta, a non proseguire oltre negli accertamenti relativi alla natura del materiale inerte che, in quel momento, stava per essere scaricato nel predetto cantiere da n. 6 automezzi pesanti a cura della ditta DELL’ERBA Gaetano di Trani:

– il Mattiello, sopraggiunto in borghese nel corso dei controlli ed urlando, proferiva le seguenti parole nei confronti dei suoi inferiori di grado “sono cazzi vostri, qua nessuno vi ha autorizzati! “, così anche offendendo l’onore, il prestigio e la dignità dei predetti sottoposti marescialli;
– il Balducci, sopraggiunto nel cantiere nel corso dei controlli, proferendo nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria operanti le seguenti parole (al Ciullo) “andate via che qua c’è Roma dietro!” -così implicitamente minacciando ritorsioni da parte del Sindaco di Molfetta Antonio Azzollini, Senatore della Repubblica e comunque da parte del Governo Centrale – e (al Crispino) “ fate attenzione che questa è una cosa più grande di voi! ”.
Il Mattiello, inoltre, con la condotta minatoria di cui sopra impediva il sequestro probatorio di iniziativa degli automezzi pesanti (che si dileguavano con il loro contenuto da analizzare) e, in tal modo, aiutava i responsabili dei probabili reati di cui all’art. 356 c.p e di cui all’art. 256 D. Lvo n. 152 del 2006 ad eludere le investigazioni dell’autorità  (In Molfetta il 12.6.2008).

Giova qui riportare quanto riferito all’allora P.M. Michele Ruggiero dal Maresciallo Capo Giuseppe Ciullo e dal Maresciallo Capo Pio Crispino (in data 09.02.2010; fogli 185 e 190 del fascicolo n. 1592-2009) in relazione a quanto accadde quel 12.6.2008:

  • CIULLO Giuseppe: “Da almeno un mese prima di quell’intervento io ed il collega Crispino assistevamo al continuo passaggio davanti alla nostra caserma, vicina al cantiere di cui ho detto, di mezzi pesanti che, privi di teli di copertura, trasportavano rocce e terriccio che si disperdeva in nubi di polvere sollevandosi dai cassoni”;
  • CRISPINO Pio: “Ricordo che quell’indagine era stata da me intrapresa a seguito di attività info-investigativa che mi aveva riferito di frodi nella pubblica fornitura dei materiali impiegati nella realizzazione dei lavori suddetti (lavori il cui cantiere si trovava assai vicino alla nostra caserma). In particolare avevamo appreso che la ditta che doveva fornire il materiale lapideo da posare in banchina, c.d. tout venant, in realtà forniva a C.M.C. (aggiudicatrice dell’appalto) terriccio e pietre di scarto rivenienti da cumuli di scarti in discariche dimesse: detto materiale, di basso costo e qualità e comunque inidoneo all’esecuzione delle opere in corso ed appaltate, avevo visto viaggiare su mezzi pesanti privi di teloni di copertura; avevamo avuto modo di vedere direttamente (perché passavano più volte al giorno dinanzi alla caserma) nuvole di polvere rossa alzarsi dai cassoni in transito (decine di camion al giorno per almeno un mese, prima del nostro intervento del 12/6/2008), ma anche scaricare quella mistura di terra, sabbia e pietra, qualificabile come rifiuto speciale, direttamente in mare: una volta scaricato in mare, la pala meccanica immergeva il braccio meccanico nello specchio acqueo (frattanto diventato rossastro come il colore argilloso riversato) e letteralmente dilavava il materiale che veniva poi sparso in banchina e compattato: era un’attività che veniva fatta quotidianamente. Io stesso seguii uno dei mezzi pesanti nel tragitto dal cantiere alla cava e filmai con delle riprese h24  il carico di quel materiale – ripeto qualificabile come rifiuto – presso una cava dimessa in agro di Bisceglie: carico prelevato da una montagnola di rifiuti costituenti scarti di roccia. Era netta la differenza di quei materiali rispetto a quelli in precedenza forniti alla CMC dalla ditta Di Salvo che effettuava carichi di pietra bianca sempre dello stesso colore, su mezzi muniti di copertura e senza dispersione in atmosfera di pulviscolo.”
  • CIULLO Giuseppe: “Sul posto erano presenti n. 6 mezzi pesanti carichi di terra e roccia condotti da sei soggetti che provvedemmo ad identificare; rilevammo che vi erano eccedenze di diversi quintali sul peso massimo consentito sui convogli e per questo due militi condussero i trasportatori nella vicina caserma per la redazione delle contravvenzioni. Io ed il mar.llo Crispino unitamente al prof. Laricchiuta restammo sul cantiere e facemmo ingresso nel container adibito ad ufficio dove a riceverci vi era il direttore Barbara Luca che ci esibì i documenti di trasporto della merce caricata sui mezzi che noi bloccammo per accertamenti sulla natura e composizione del materiale caricato. Avrebbe dovuto trattarsi di fornitura di c.d. “tout venant” mentre appariva ictu oculi, a vista, che si trattava di mistura di terriccio, pietre: gli stessi rapporti di prova che risultavano rilasciati dal prof. Nuovo in relazione ad alcuni carichi evidenziavano la natura del carico in termini non già di tout venant ma – come io e Crispino avevamo direttamente visionato – rifiuti speciali (terra argillosa e rocce) che la pala meccanica vedevamo spargeva sul molo facendo sollevare nubi di polvere rossa. Poiché, quindi, appariva evidente che eravamo al cospetto di rifiuti speciali inidonei alle opere in via di esecuzione, trasportati (quindi gestiti) senza le prescritte autorizzazioni e f.i.r. ed infine abusivamente scaricati in mare e sparpagliati per terra, era evidente che eravamo al cospetto della consumazione del reato di gestione abusiva dei rifiuti e di discarica abusiva e che era nostra intenzione valutare se procedere ad un sequestro preventivo”;
  • CRISPINO Pio: “Ebbene, a seguito di dette mie preliminari indagini decidemmo di intervenire sul cantiere il 12/6/2008 unitamente al collega Ciullo ed ai graduati Salzano, Pretorino e Lucia. La verifica era da noi effettuata al fine di confermare ulteriormente i nostri sospetti su violazioni della normativa ambientale con riguardo ai materiali utilizzati per il riempimento del tratto terminale della “banchina giorno”. Giungemmo sul cantiere unitamente all’ausiliario di p.g. prof. Laricchiuta ed al tecnico di prevenzione dell’ASL dr.ssa Giovine. Sul posto erano presenti n. 6 mezzi pesanti carichi di terra e roccia condotti da sei soggetti che provvedemmo ad identificare; rilevammo che vi erano eccedenze di diversi quintali sul peso massimo consentito sui convogli e per questo due militi condussero i trasportatori nella vicina caserma per la redazione delle contravvenzioni. Io ed il mar.llo Ciullo unitamente al prof. Laricchiuta restammo sul cantiere e facemmo ingresso nel container adibito ad ufficio dove a riceverci vi era il direttore Barbara Luca che ci esibì i documenti di trasporto della merce caricata sui mezzi che noi bloccammo per accertamenti sulla natura e composizione del materiale caricato. Dalla documentazione mostrataci dal Barbara Luca il materiale lapideo che doveva essere oggetto di fornitura era del tipo c.d. “tout venant” mentre appariva ictu oculi, a vista, che si trattava di mistura di terriccio rosso e pietrame: gli stessi rapporti di prova che risultavano rilasciati dal prof. Nuovo in relazione ad alcuni carichi evidenziavano la natura del carico in termini non già di tout venant ma – come avevo direttamente visionato – rifiuti speciali (terra argillosa e rocce). Poiché, quindi, appariva evidente che eravamo al cospetto di rifiuti speciali inidonei alle opere in via di esecuzione, trasportati (quindi gestiti) senza le prescritte autorizzazioni e f.i.r. ed infine abusivamente scaricati in mare e sparpagliati poi per terra, era evidente che il reato che si andava delineando era quello di gestione abusiva di rifiuti e di discarica abusiva e che era nostra intenzione valutare se procedere ad un sequestro preventivo.”

Era stato ascoltato dal P.M. Michele Ruggiero anche il chimico prof. Onofrio LARICCHIUTA (cfr. foglio 193 del fascicolo n. 1592-2009) che ha dichiarato testualmente:
Sono chimico di professione dal 1986, iscritto all’Albo dei consulenti presso il Tribunale di Bari e ho in molte occasioni ricevuto ed espletato incarico di consulente per le Procure della Repubblica, specialmente in materia di rifiuti…….Omissis……. Fu il 12/6/2008, se mal non ricordo, che facemmo il sopralluogo sul cantiere e lì notai che vi erano dei camion carichi di terra e roccia: da una prima visione emergeva con evidenza che non si trattava di tout venant e che erano rocce e terreno; peraltro, notai che quel materiale appena veniva scaricato in mare produceva una colorazione rossastra molto evidente dello specchio acqueo che riceveva il materiale: reazione che assolutamente non si sarebbe verificata in caso di scarico di tout venant.

Autorità portuali, scoppia il caso Bari

di Massimiliano Scagliarini – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

BARI – La scadenza delle nomine è giugno, all’indomani delle Regionali. Ma il rinnovo delle presidenze delle Autorità portuali sta diventando – come sempre – un caso politico, stavolta appesantito dall’incrocio elettorale e dalle coincidenze: sulla proposta degli enti locali dovrà infatti esprimersi (di concerto con la Regione) il ministero delle Infrastrutture, nella bufera in questi giorni per le inchieste giudiziarie.

L’ultima parola spetta al ministro Graziano Delrio. È molto probabile che a giugno proceda a un commissariamento, per traghettare le Autorità fino a fine anno quando la riforma dovrebbe cambiare le modalità di designazione dei presidenti. E rischia di deflagrare il caso Bari dove l’uscente Francesco Mariani non è più ricandidabile e dove – in un gioco di specchi – il Comune di Barletta, la ex Bat e la Camera di Commercio hanno avanzato la candidatura di Manlio Guadagnuolo.

Guadagnuolo, ingegnere vicino al centrodestra, è acerrimo nemico di Mariani e non ha molti amici in Regione. Nel 2013, quando l’Autorità di Brindisi aveva ipotizzato di nominarlo segretario generale, fu proprio il pressing della Regione a farlo saltare. Guadagnolo è stato l’amministratore della Bari Porto Mediterraneo, società poi fallita che ha lasciato un buco da 3 milioni nei conti dell’Autorità: per questo una parte del comitato portuale è in subbuglio.

A risolvere la partita dovrebbe essere il Comune di Bari, che però non si esprime. Il sindaco Antonio Decaro parla di «mancanza di candidati validi» e almeno in apparenza non sembrerebbe favorevole a Guadagnuolo: gli piacerebbe invece l’assessore regionale Gianni Giannini, indisponibile in quanto candidato alle Regionali. Il Comune di Monopoli, guidato dal centrodestra, si è smarcato ed ha avanzato la candidatura di Marina Monassi (ex presidente di Trieste). Tuttavia Guadagnuolo ha più di un estimatore al ministero, e – se capoluogo e Città metropolitana rimarranno silenti – potrebbe ottenere la nomina cui ha concorso, invano, sia nel 2005 che nel 2011.

Quella delle Autorità portuali potrebbe essere anche l’ultima tornata di nomine importanti gestita dal governatore Nichi Vendola. Gli interessi in gioco sono fortissimi, tanto che di norma si arriva a una mediazione politica per l’alternanza destra-sinistra tra presidente e segretario generale: accadde così nel 2011, quando il ministro era Altero Matteoli e la scelta del presidente di Taranto fu lasciata al centrodestra. Ma i nomi sono sempre gli stessi così come i veleni che accompagnano ogni tornata di nomine. A Brindisi, è solo un esempio tra i tanti, il posto di segretario generale cui aspirava Guadagnuolo è stato poi affidato all’ex ammiraglio Salvatore Giuffrè, ex direttore marittimo della Puglia, ex commissario straordinario dell’Autorità di Taranto, il cui figlio è stato assunto da Mariani all’Autorità di Bari dove le parentele eccellenti abbondano.

A Brindisi è in uscita il greco Iraklis Haralambidis. I candidati sono il professore universitario Danilo Urso (Comune), Donato Caiulo (un consulente dell’ex ministro Lupi, indicato dalla ex Provincia) mentre la Camera di Commercio ha proposto il suo stesso presidente, Alfredo Malcarne.

A Taranto si profila uno scontro tra gli enti pubblici e la concessionaria portuale Tct e si rischia di ripetere il pasticcio del 2011: la legge prevede una unica terna di candidati, invece ce ne sono già due. La Camera di Commercio ha indicato l’ex presidente Giuseppe Guacci, l’ex segretario generale Angelo Agliata e il vicedirettore generale della Tct (Taranto Container Terminal), Gian Carlo Russo. La ex Provincia ha invece indicato Russo, Agliata e la Monassi, sponsorizzata in questa partita dall’ex ministro Claudio Signorile, a sua volta molto vicino all’ex ministro Lupi: il terremoto giudiziario rende oggi questa soluzione difficilmente praticabile. L’uscente Sergio Prete spera ancora nella riconferma.

Azzollini e il porto di Molfetta, una legge ad personam potrebbe assolverlo

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

Antonio Azzollini, campione delle leggi ad se stessum. Il latino è del tutto maccheronico, ma rende l’idea. Il senatore Ncd, presidente della Commissione bilancio, di recente attenzionato per la seconda volta dalla Corte dei Conti, potrebbe scampare dalle accuse che lo hanno fatto finire nel registro degli indagati per la vicenda del porto di Molfetta, città pugliese di cui era sindaco, un appalto da 57 milioni per un’opera mai finita, ma per la quale lo Stato ha stanziato finora oltre 169 milioni. Secondo Repubblica Bari, un piccolo comma inserito in una legge approvata l’anno scorso (quella dei famosi 80 euro di Renzi) potrebbe far cadere una delle accuse contestate al politico alfaniano dalla Procura di Trani. Quella di aver versato 5,7 milioni di euro alle imprese appaltatrici del porto con un “artifizio contabile”, sostengono i pm, in modo tale che il Comune di Molfetta apparisse comunque in regola con il patto di stabilità per gli enti locali.

Repubblica chiama in causa il comma 1-bis dell’articolo 18 del decreto legge n.16 del 2014, poi convertito in legge. E proprio in sede di conversione (prima stranezza) è comparso il “bis” incriminato. Il quale, “per i mutui contratti dagli enti locali antecedentemente al 1o gennaio 2005″ offre una nuova interpretazione di una precedente norma, il comma 76 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Proprio quella che i pm di Trani contestano ad Azzollini di aver violato. La nuova interpretazione è tale che “l’ente locale beneficiario può iscrivere il ricavato dei predetti mutui nelle entrate per trasferimenti in conto capitale, con vincolo di destinazione agli investimenti”. Così facendo, “l’eventuale rimborso da parte dello Stato delle relative rate di ammortamento non è considerato tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno”. Un cavillo supertecnico, ma a sollevare sospetti è innanzitutto il riferimento netto al 2005, visto che il pagamento incriminato era stato iscritto nel bilancio del Comune di Molfetta giusto nel 2004. E l’inchiesta contro Azzollini e una sessantina di indagati era diventata di pubblico dominio il 7 ottobre 2013, con due arresti. Come mai sei mesi dopo, nel marzo del 2014, qualcuno si preoccupa di intervenire sui mutui contratti dai Comuni otto anni prima?

Non è la prima volta che il Parlamento licenzia leggine utili al potente ex sindaco di Molfetta. Fra le accuse della Procura di Trani contro Azzollini c’è quella di avere dirottato i copiosi fondi statali stanziati per il porto ad altre destinazioni, dalla pista di atletica alla sistemazione dei marciapiedi. Molti di questi dirottamenti, però, non possono essergli contestati in virtù di una norma del 2005 (il dl 203 poi convertito in legge), secondo la quale i fondi da quel momento in poi stanziati per il porto di Molfetta potevano essere utlizzati anche per “la realizzazione di opere di natura sociale, culturale e sportiva”. Il pronto soccorso ad Azzollini è spesso bipartisan. Nell’ottobre scorso il Pd è stato determinante per respingere la richiesta della Procura di Trani di utilizzare alcune intercettazioni telefoniche – sempre relative all’inchiesta sul porto – in cui compariva il parlamentare. Il prezzo pagato dai dem fu una lacerazione interna con tanto di autosospensione del senatore Felice Casson. Una vicenda che ha poi pesato sulla sua decisione di candidarsi a sindaco di Venezia, con la prospettiva di lasciare Palazzo Madama (e i suoi compromessi) se eletto.

Porto Molfetta, 53 milioni di danni. La Corte dei conti contro Azzollini

di Giuliano Foschini – bari.repubblica.it

Il Senato ha votato contro l’utilizzo delle sue intercettazioni telefoniche. Ma il senatore di Ncd, Antonio Azzollini, rischia di pagare a caro prezzo la brutta storia del porto di Molfetta: 53 milioni. E’ questo il danno erariale per il quale lui, insieme con tutti gli amministratori coinvolti nella maxi inchiesta di Trani sono stati denunciati alla Corte dei Conti dalla Guardia di Finanza affinchè venga stabilito se sono stati spesi soldi non dovuti.

Il caso è noto. La realizzazione del porto a Molfetta, città guidata dall’allora sindaco Azzollini, senatore e presidente della Commissione bilancio.

Secondo l’accusa della Procura di Trani, il porto era un’opera irrealizzabile: il fondale del porto di Molfetta era pieno di ordigni bellici, residui della seconda guerra mondiale. Sminarlo era praticamente impossibile o comunque troppo costoso. Motivo per cui i lavori non avrebbero potuto mai essere terminati. Ciò nonostante però il lavoro fu appaltato e i lavori furono effettivamente sospesi. Ciò nonostante da Roma continuavano ad arrivare soldi che Azzollini, questa l’accusa della Procura, avrebbe utilizzato su altre spese di bilancio. In modo da soddisfare interessi elettorali. Qualche esempio: vengono presi dai soldi del porto i 624mila euro dati ai dipendenti come incentivi comunali, i due milioni e mezzo per i nuovi marciapiedi, i tre milioni per la pista di atletica, i 221mila per il palazzetto dello sport, i 375mila per i gabbiotti e le tende da sol del “mercato diffuso”, i 300mila per il centro minori più una serie di spese correnti compresi i “111.526 euro in “cancelleria e stampa” e 34.378 euro in “conti di ristoranti”. «In sostanza – scrive la procura di Trani in uno dei suoi atti di accusa – l’amministrazione Azzollini ha utilizzato quel denaro per creare un “fittizio equilibrio economico”, e a attestare falsamente il patto di stabilità. L’amministrazione sostituiva le spese d’investimento con uscite non aventi tale natura, e ‘copriva’ queste ultime a carico dei finanziamenti e trasferimenti finalizzati alla costruzione del nuovo porto commerciale». Porto che appunto cominciato, finanziato (sono stati costretti anche a pagare una penale milionaria alla Cmc, la società che aveva vinto la gara ma non ha potuto continuare per via delle bombe) e ora ancora rifinanziato con altri dieci milioni nell’ultima finanziaria.

Eppure che su quell’appalto ci fosse qualcosa che non andasse lo aveva già detto nel 2008 l’Authority sull’appalto che aveva parlato di una «illegittimità del bando di gara». L’appalto prevedeva l’esistenza di una draga, una particolare macchina per l’escavazione subacquea, che ha soli tre esemplari al mondo. «Una richiesta fortemente limitativa della concorrenza » diceva il Garante che aveva previsto anche il resto. In un’ispezione della Finanza del 2008 si diceva «che a causa delle attività di bonifica dei fondali dagli ordigni bellici, i lavori di dragaggio non hanno ancora avuto un concreto inizio» e quindi chissà quando sarebbero finiti. Da qui la possibilità che l’azienda appaltatrice, come effettivamente poi accaduto, potesse chiedere i danni «per fermo cantiere ed inutilizzo dei macchinari» con «profili di potenziale danno erariale» per le casse del Comune.

«Siamo stati facili Cassandre, purtroppo» dicono ora dall’Authority dove fanno notare anche una seconda circostanza. L’appalto era stato bandito per 63,8 milioni e vinto da una Ati tra Cmc, Società italiana dragaggi e Pietro Cidonio con un ribasso del 10 per cento portando il valore di contratto a 57,6 milioni. Sei mesi dopo, una volta presentato il progetto esecutivo, il costo lievita a 69,4 milioni. «Grazie a questo meccanismo scrive l’Autorità – l’impresa recupera di fatto il ribasso offerto, oltre ad un ulteriore maggiore importo del 10 per cento».

“Messa in sicurezza” del porto? Dissequestriamo le carte

Il 4 febbraio u.s. è stata affissa all’albo pretorio comunale la “DELIBERA DI GIUNTA N.14 DEL 28/01/2015: OPERE DI MESSA IN SICUREZZA DEL NUOVO PORTO COMMERCIALE DI MOLFETTA. APPROVAZIONE PROGETTO ESECUTIVO”. Da mesi il dibattito politico cittadino, dentro e fuori il Palazzo di Città, si è sviluppato intorno al tema del nuovo porto commerciale e dalla lettura della Delibera n. 14 ci aspettavamo di cogliere elementi utili per farci un’idea di quello che la “Nuova Molfetta” ha intenzione di fare su questo progetto. Investire oltre 7 milioni di euro per la “messa in sicurezza” vuol dire dare chiari indirizzi di sviluppo successivo dell’opera; investire tale somma vuol dire predisporre, bloccandolo, il progetto esistente per poi continuarlo come previsto; oppure, mettere in sicurezza le opere già esistenti potrebbe significare bonificare completamente l’intera area direttamente interessata ai lavori comprendendo anche quell’area più esterna alla “zona rossa” verso l’inutile sperone già completato?

Insomma la “messa in sicurezza” potrebbe dire e significare tante cose ma la delibera non le spiega e non fornisce alcuna chiave di lettura, almeno quella affissa all’albo pretorio. Il cittadino attento rimane deluso leggendo questa delibera perchè, oltre a leggere tra i progettisti il nome dell’Ing. Gianluca LOLIVA, uno dei 61 indagati dell’Operazione D’Artagnan (responsabile della R.T.I. costituita tra Acquatecno s.r.l., Architecna Engineering s.r.l., Idrotec s.r.l. e la ditta individuale G. Loliva), si rende conto che qualcosa non quadra.

Intanto le 15 Relazioni, i 9 Elaborati grafici generali, i 26 Elaborati grafici Banchine Nord-Ovest e Martello, i 5 Elaborati grafici secondo braccio del molo di sopraflutto, l’Elaborato grafico degli impianti, il Piano di Sicurezza e Coordinamento, sono solo un mero elenco riportato due volte in delibera ma non allegato alla stessa. Ora ci chiediamo se questa amministrazione vuole veramente essere diversa da quella guidata da Azzollini e dimostrare la discontinuità dal passato? Non ci sembra che con questo atto amministrativo possa dimostrarlo, anzi peggiora quell’immagine di trasparenza e partecipazione che ha alimentato e alimenta la quotidiana propaganda politica. Quando si legge nel corpo della delibera, a pag.5, che gli obiettivi del ” Progetto dei lavori di messa in sicurezza e salvaguardia delle opere di costruzione del porto Commerciale di Molfetta“, si potrebbe intuire che le carte presentate dall’Ing. LOLIVA siano qualcosa di diverso da quello che l’amministrazione comunale vuole farci intendere e che nei fatti è nel titolo, abbastanza generico, della delibera n.14 del 28.01.2015, “Opere di messa in sicurezza del Nuovo Porto Commerciale di Molfetta“.

Per questi motivi abbiamo presentato in data 16 febbraio 2015 prot. n. 11850, la richiesta di presa visione e copia di tutti gli elaborati tecnici, grafici e relazioni del progetto esecutivo contenuti nella “DELIBERA DI GIUNTA N.14 DEL 28/01/2015: OPERE DI MESSA IN SICUREZZA DEL NUOVO PORTO COMMERCIALE DI MOLFETTA. APPROVAZIONE PROGETTO ESECUTIVO” (affissa all’Albo Pretorio il 4.1.2015 al numero progressivo 201), ai sensi della legge 241/90 (modificata e integrata dalla Legge 15/2005) e del decreto legislativo n. 33/2013. 

Invitiamo tutti i cittadini attivi ad inoltrare la stessa richiesta al Sindaco e al Segretario Comunale affinché tutti siano consapevoli e informati sulla sorte delle opere sequestrate del nuovo porto commerciale e di come questa amministrazione vuole “metterle in sicurezza“. Infine suggeriamo a chi in questi giorni dichiara che il dibattito sul porto è “stato sequestrato“, di attivarsi con noi per il “dissequestro dei documenti” e la loro pubblicazione in rete, in modo che il vero dibattito sul futuro del porto possa nascere sulla base della conoscenza dei progetti vecchi e nuovi. Questa sì che sarebbe una festa per la democrazia e della partecipazione vera, e non solo propagandata.

Messa in sicurezza Porto n.14_28.1.2015

Ancora molti dubbi sulla bonifica del porto e di Torre Gavetone

Ospiti in studio di Video Italia Puglia, Rosalba Gadaleta, Ass. ambiente Comune di Molfetta, e Matteo d’Ingeo, portavoce Comitato Bonifica Molfetta, si confrontano sulla bonifica bellica marina di Torre Gavetone e porto. Intervengono fuori studio la responsabile scientifica del Comitato Bonifica, dott.ssa Maddalena De Virgilio e Pasquale Salvemini della L.A.C. Puglia. Gli interventi dei convenuti affrontano anche il problema dell’alga tossica e delle prospezioni nel mare Adriatico per le ricerche di pozzi petroliferi. Il Comitato Bonifica che aderisce al Coordinamento NoTRIV di Molfetta e Terra di Bari ha presentato le osservazioni contro i permessi di ricerca e trivellazioni in Adriatico della Global Petroleum e si appresta a presentare le controdeduzioni di quest’ultima. Conduce in studio Matteo Diamante.

Mario Portanova e la sua inchiesta sul porto di Molfetta. Dal suicidio del Dirigente Enzo Tangari alle intercettazioni di Azzollini negate dal Senato

Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

Una Panda beige imbocca l’ingresso del porto a forte velocità, percorre il molo, alla curva tira dritto senza frenare. L’auto finisce in mare, proprio sotto il faro, dove ancora oggi si vede la banchina sbrecciata sul bordo. Così, alle 8 e mezzo del mattino del 12 marzo 2013, ha messo fine alla sua vita Enzo Tangari, 59 anni, moglie e tre figli, dirigente del Settore appalti del Comune di Molfetta, in provincia di Bari. Cinque mesi più tardi, il 7 ottobre, due persone finiranno in carcere e altre sessanta indagate nell’inchiesta della Procura di Trani sulla costruzione del nuovo porto, un affare da 70 milioni di euro per il quale, però, le casse pubbliche ne hanno già stanziati circa 170, compreso l’ultimo fondo da dieci milioni garantito dalla legge di stabilità 2015.

E’ la vicenda che vede inquisito, tra gli altri, l’ex sindaco Antonio Azzollini (a sinistra nella foto), Ncd, presidente della Commissione bilancio del Senato, accusato di truffa ai danni dello Stato e altri reati. Un’inchiesta che ha travolto la macchina comunale e le società appaltatrici, guidate dalla coop rossa Cmc di Ravenna. Le manette sono scattate ai polsi di Vincenzo Balducci, dirigente comunale responsabile unico dell’appalto, e del procuratore speciale della Cmc, nonché direttore del cantiere, Giorgio Calderoni. Secondo l’accusa, l’amministrazione Azzollini ha dirottato ad altri scopi parte del fiume di denaro piovuto sulla città, riconoscendo per di più alle aziende appaltatrici “risarcimenti” milionari, contestati dai magistrati, per i ritardi nei lavori dovuti alla presenza di migliaia di ordigni bellici inseplosi sui fondali dell’erigendo nuovo porto. Il contestatissimo affare del porto è la pista principale imboccata dalla Procura di Trani sulla morte di Enzo Tangari. La pm Silvia Curione ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, poi passata ad Antonio Savasta, uno dei titolari dell’indagine sul faraonico scalo a oggi incompiuto. Continua a leggere QUI

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Azzollini, storia di un intoccabile e del suo porto da 170 milioni. Mai realizzato

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

C’è una relazione dell’Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici che porta la data del 15 gennaio 2009 ed elenca una sfilza di gravi irregolarità nei lavori per il nuovo porto di Molfetta, opera faraonica da 70 milioni di euro (poi esplosi in modo incontrollabile e tuttora lievitanti) voluta dal senatore Antonio Azzollini, Ncd, potente presidente della Commissione bilancio del Senato ed ex sindaco della cittadina in provincia di Bari. Da quel documento, trasmesso alla Procura Trani, è nata l’inchiesta con 62 indagati che il 7 ottobre 2013 ha portato all’arresto di due persone: il responsabile unico dell’appalto per il Comune, Vincenzo Balducci, e il procuratore speciale della Cmc, l’azienda appaltarice, Giorgio Calderoni. E all’accusa, per Azzollini, di truffa ai danni dello Stato, falso ideologico, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, violazione delle normative ambientali, violazione della normativa sul lavoro, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. In mezzo, il 12 marzo 2013, il sucidio del dirigente del settore appalti del Comune di Molfetta, Enzo Tangari, che si è lanciato in mare con la sua Panda dal molo del porto vecchio nei giorni in cui la polizia giudiziaria acquisiva in Municipio i documenti necessari a chiudere l’inchiesta. Continua a leggere QUI

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Azzollini, porto milionario su un mare di bombe. Cmc: “Opera non eseguibile”

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

La questione delle bombe è uno dei pilastri dell’accusa dei pm di Trani contro il senatore Ncd Antonio Azzollini e gli altri 61 indagati per l’incredibile appalto del nuovo porto di Molfetta. Secondo i magistrati, la presenza degli esplosivi rimasti sott’acqua dalla prima e dalla seconda guerra mondiale era ben nota in Comune (e in Cmc, la regina delle coop rosse che si è aggiudicata l’appalto nel 2007) ancora prima che la gara partisse, e che quindi fosse nota la “pratica impossibilità”, si legge nelle carte dell’accusa i pm, di realizzare l’opera. Un buona pezza alla tesi dei magistrati è l’ammissione di Giorgio Calderoni, il direttore del cantiere e procuratore della cooperativa ravennate, arrestato nel blitz del 7 ottobre 2013. Intercettato al telefono il 21 maggio 2010, Calderoni commenta la sostanziale immobilità dei lavori: “Probabilmente l’errore è sul fatto che… cioè lo sforzo di seguire questa amministrazione che ha fatto il senatore per il porto eccetera… l’errore è stato quello di concentrarsi tanto anche se c’erano le bombe eccetera, insomma. In realtà, avrebbero prima dovuto aspettare di togliere le bombe però…”. Nettissima sul punto è l’email che il direttore tescnico del cantiere, Carlo Parmigiani, scrive allo stesso Calderoni, suo superiore in Cmc, il 29 giugno 2010 (ben tre anni prima del blocco imposto dalla magistratura, che ha messo sotto sequestro il cantiere, nella foto): “Il porto è a mio avviso palesemente non eseguibile”, scrive Parmigiani, “il problema degli ordigni è solo ed esclusivamente onere della stazione appaltante (il Comune di Molfetta, ndr)”. E conclude: “Se vuoi sapere il mio pensiero, allora vado oltre ed è chiedere di risolvere il contratto in danno alla stazione appaltante”. Continua a leggere QUI

Un mare di schiuma, Molfetta come Blackpool in Inghilterra e Lorne in Australia

Nei primi giorni di Gennaio avevamo temuto che il nostro mare fosse vittima di un’altra ennesima emergenza ambientale a cui siamo ormai rassegnati; dopo l’alga tossica, le bombe chimiche e i reflui scaricati a mare, vedere quella insolita e consistente schiuma oleosa persistere per molti giorni in più parti della nostra spiaggia ha creato non poche preoccupazioni. Vederla poi anche a pochi metri dal Torrione Passari in Cala Sant’Andrea è stato ancor più allarmante.

Abbiamo ricevuto altre segnalazioni che riferivano della stessa schiuma avvistata a Bisceglie, Monopoli, Polignano e San Giorgio a Bari. Mentre Daniele Marzella, del NUCLEO SUB MOLFETTA, ci forniva un video che registrava la strana schiuma sul litorale di Giovinazzo.

Ma il fatto che il fenomeno fosse diffuso non è bastato a rassicuraci perchè ci chiedevamo quale fosse la causa di quella schiuma. Abbiamo fatto le nostre ricerche in rete e abbiamo trovato una vasta gamma di fenomeni simili in Italia e nel mondo.

In Inghilterra a Blackpool, a pochi chilometri da Liverpool, accade che la schiuma trasportata dal vento cada come neve sulle strade della costa costringendo gli abitanti a chiudersi in casa perchè la schiuma è di consistenza oleosa e macchia i vestiti.

In Australia invece, così come mostra il video che segue, lungo la costa di Lorne (Victoria) il fenomeno si verifica una volta ogni tre-cinque anni; sul territorio si manifesta un’intensa e prolungata fase di maltempo accompagnata, ovviamente, da precipitazioni anche abbondanti che formano una densa e compatta schiuma che invade tutta la spiaggia anche per diversi chilometri. E i serfisti si divertono.

I campioni raccolti in queste zone non mostrano alcuna traccia di detersivi o sostanze chimiche, per cui rimane l’ipotesi che il fenomeno sia legato alla decomposizione delle alghe in particolari condizioni meteo-marine. E la nostra schiuma ha le stesse origini?

Il terrore viene dal mare

di Roberto De Santo – www.corrieredellacalabria.it

Se non è ancora allarme, poco ci manca. Ma l’ipotesi che qualcosa nei fondali del Tirreno cosentino stia accadendo sembra sempre più prendere consistenza e forma. Nelle scorse settimane e per due pescate di seguito, al largo di Campora San Giovanni, alcuni pescatori locali hanno catturato quattordici esemplari di tonnetti “alletterati” (una delle specie di tonno più diffuse nel Mediterraneo, la peculiarità sta nella colorazione azzurro-bluastra sul dorso), tutti con una malformazione alla colonna vertebrale. A destare preoccupazione, soprattutto, la circostanza della ripetitività delle catture nella stessa zona. I pescatori amatoriali, infatti, allarmati dalla strana conformazione dei primi 12 tonnetti catturati, sono ritornati nei pressi dello specchio d’acqua – nei pressi del porto della popolosa frazione di Amantea – dove avevano abboccato i pesci e lì ne hanno raccolto altri due trovandoli anch’essi con la stessa anomalia.
Una vicenda che si tinge decisamente di nero alla luce di un’altra storia simile segnalata dal Corriere della Calabria lo scorso anno, quando a settembre del 2013 altri pescatori amatoriali catturarono – non lontano dalla costa di Fiumefreddo Bruzio e dunque a pochi chilometri di distanza da Campora – altri esemplari sempre della stessa specie e con l’identica malformazione scheletrica: la spina dorsale bifida. In quell’occasione un laboratorio privato, su incarico del biologo marino Silvio Greco, svolse delle approfondite analisi sui campioni di lisca di due dei quattro pesci catturati con questa anomalia (nel corso della battuta erano stati presi dieci esemplari) ed emerse un aspetto decisamente inquietante: i resti degli animali esaminati erano contaminati da metalli pesanti e da Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Proprio quest’ultima sostanza – ritenuta pericolosi per gli effetti sulla salute dell’uomo – presentava un valore più alto della norma. Non solo, sempre da quelle analisi – realizzate per conto di Greco – uscì fuori che nelle lische dei tonnetti erano presenti parametri al di sopra della norma di tre policlorobifenili (Pcb). Composti organici considerati altamente nocivi per gli esseri umani visto che alcuni studi scientifici ne delineano l’elevato nesso di causalità con la contrazione di malattie tumorali.Tutti aspetti che alla luce delle identiche anomalie anatomiche che presentano gli esemplari catturati a Campora fanno ritenere plausibile che anche questi siano tonnetti contaminati dalle stesse sostanze chimiche. Un’ipotesi che – se dovesse essere supportata da dettagliate analisi sui pesci catturati a largo delle coste amanteane – solleverebbe con maggiore insistenza l’allarme di una possibile contaminazione lungo il Tirreno cosentino. Soprattutto alla luce che i pesci pescati sia nel caso di Fiumefreddo sia di Campora San Giovanni sarebbero nati nella zona: la lunghezza non supererebbe, infatti, i trenta centimetri. Anche se c’è da sottolineare che i tonnetti catturati appartengono a una specie pelagica, capace cioè di percorrere centinaia di chilometri e che nella baia di Augusta, nel corso degli anni, sono stati segnalati diversi casi di pesci deformi. Un’aspetto che potrebbe lasciare intendere che da lì possano essere arrivati almeno i progenitori dei pesci catturati al largo delle coste del Tirreno cosentino. Ciononostante restano alcuni elementi inquietanti: la concomitanza delle catture nella stessa zona, la ripetitività almeno negli ultimi due anni e la giovane età degli esemplari. Circostanze, queste, che lasciano completamente aperta l’ipotesi dell’esistenza di un focolaio di contaminazione proprio in territorio calabro.

L’ANALISI DELL’ESPERTO
«È evidente che a questo punto c’è qualcosa di sospetto e che, per questo, meriti tutti gli approfondimenti del caso». Il biologo marino Silvio Greco alza il livello d’attenzione sulla vicenda degli esemplari malformati. Soprattutto dopo le nuove catture di tonnetti al largo di Campora San Giovanni che presentano la spina dorsale bifida. « La letteratura scientifica – spiega Greco – è concorde nell’affermare che questo genere di mutazione è dovuta alla contaminazione da metalli pesanti e da idrocarburi. Resta da comprendere dove sia collocata la fonte d’inquinamento e a cosa sia dovuta». Per questo il noto biologo marino invoca «la costituzione di un gruppo di esperti per capire con esattezza l’ampiezza e l’origine del fenomeno». Per fare questo senza dubbio dovranno per primi intervenire i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente calabrese. «Un primo step – sostiene Greco – per avviare un monitoraggio più ampio e più complesso con il coinvolgimento auspicabile di altri specialisti del settore».

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