A pochi giorni dal voto, giunge il dissequestro del porto commerciale

www3.corpoforestale.it

Militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari ed appartenenti al Comando Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Bari, di Ravenna e Reparti dipendenti hanno eseguito nelle prime ore di questa mattina 2 ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari emessi dal G.I.P. del Tribunale di Trani, su richiesta della Procura della Repubblica a quella sede, nei confronti dell’ex dirigente del settore Lavori Pubblici del Comune di Molfetta (BA) e di un imprenditore – rappresentante, in qualità di procuratore speciale, della Cooperativa Muratori & Cementisti C.M.C. con sede in Ravenna – entrambi responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, reati contro la fede pubblica, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
Sequestrata l’area destinata al nuovo porto di Molfetta per un valore di 42 milioni di euro circa nonché la residua somma di finanziamento pubblico (pari a 33 milioni di euro) non ancora utilizzata dal Comune di Molfetta.
Le misure cautelari giungono al termine di un’indagine avviata nel 2010 dalla Procura della Repubblica di Trani sulla gestione delle procedure relative all’appalto integrato per la realizzazione del nuovo porto commerciale marittimo di Molfetta.
L’attività di polizia giudiziaria ha preso le mosse da una segnalazione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture di Roma diretta alla Procura della Repubblica di Trani concernente presunte irregolarità relative al predetto appalto d’opera con cui venivano ipotizzate alcune limitazioni della concorrenza nel bando di gara predisposto dalla stazione appaltante (Comune di Molfetta).
Sulla base dei fatti e delle circostanze denunciate dall’Autority, venivano avviate immediate investigazioni, sviluppatesi attraverso acquisizione documentali presso uffici pubblici, l’escussione di persone informate sui fatti, ricognizioni di luoghi, perquisizioni di società nonché intercettazioni telefoniche, che consentivano di far luce sulle irrituali modalità di aggiudicazione della commessa pubblica in questione da parte del Comune di Molfetta.
Le indagini hanno messo in evidenza come un ingente fiume di denaro pubblico sia stato veicolato a favore del Comune di Molfetta per la realizzazione della diga foranea e poi del nuovo porto commerciale, grazie ad una serie di atti illegittimi ed illeciti, di interferenze amministrative e di condotte fraudolente che hanno provocato l’esborso complessivo di circa di 83 mln. di euro (a fronte di un valore totale dell’opera, quantificato in 72 mln. di euro ed a fronte invece di un impegno finanziario complessivo, sin ora preso, pari a 147 mln. di euro); e senza che l’opera sia stata realizzata e senza speranza di conclusione, nei termini previsti, considerata la presenza massiccia di ordigni residuati bellici nei fondali marini oggetto dei lavori.
L’operazione trae origine da un appalto del 2006 per la realizzazione di opere foranee e del Porto Commerciale di Molfetta affidato dal Comune ad un’ A.T.I. (Associazione Temporanea di imprese) costituita da Cooperativa Muratori & Cementisti C.M.C. di Ravenna, SIDRA S.p.A. di Roma e Impresa Pietro CIDONIO S.p.A. di Roma.
Le indagini hanno fatto emergere come il costo dell’opera sia stato (tutto compreso) quantificato in 72 mln di euro. A fronte di ciò, però, l’impegno complessivo pubblico (dapprima regionale poi statale) è stato previsto per un totale di 147 mln. di euro a seguito di varie leggi di finanziamento della stessa a partire dal 2001 e di ulteriori leggi di rifinanziamento a partire dal 2008. Incassati dal Comune 83 mln. di euro; la somma sin ora complessivamente e materialmente spesa per il porto è stata, invece, di circa 42 mln di euro.

Il Comune di Molfetta aveva quindi proceduto all’illegittima assegnazione di parte della commessa in argomento al fine di:
–     destinare al pagamento delle spese correnti le disponibilità economiche rinvenienti dai finanziamenti e dalle erogazioni statali concesse con la specifica e vincolata destinazione al pagamento dei lavori di completamento della diga foranea e di ampliamento del porto commerciale;
–     far risultare nei bilanci di previsione un fittizio equilibrio economico-finanziario dell’Ente comunale attestando falsamente il rispetto del “patto di stabilità” da parte del Comune medesimo assicurando quindi la stessa sopravvivenza finanziaria del Comune di Molfetta evitando il rischio default.
Ciò avveniva, come dimostrato dalle indagini svolte, attraverso l’alterazione della veridicità delle spese correnti proprie dell’Ente comunale, a tal fine usando l’artificio contabile di scrivere nel capitolo di bilancio in conto capitale relativo ai finanziamenti statali erogati per il completamento della diga foranea di Molfetta e per l’ampliamento del porto commerciale spese non riferibili a tale titolo e non pertinenti ad esso (e pertanto da imputarsi in conto spese correnti).

In pratica, l’incondizionata disponibilità finanziaria pervenuta, fin dal 2001, in capo al Comune si è tradotta in una sorta di gestione del potere pubblico-finanziario nel consapevole ed illegittimo utilizzo dei fondi pubblici (destinati per legge esclusivamente ai lavori di prosecuzione ed ampliamento della diga foranea e del porto), appostandoli in bilancio in modo da far apparire il pareggio dello stesso, il formale adempimento del patto di stabilità e quindi la stessa sopravvivenza finanziaria del comune di Molfetta, evitando il rischio default.

In tale contesto si innesta la nota e storica vicenda degli ordigni bellici che ancora si addensano su buona parte del fondale dell’area portuale di Molfetta ivi compresa quella interessata dall’esecuzione dei suddetti lavori e che di fatto hanno reso e rendono impraticabile l’esecuzione degli stessi.

Invero, il Comune di Molfetta sin dal 2004 affidava ad una ditta specializzata un’attività dedicata di scandaglio dei fondali, interrotta nel 2005 proprio a causa della enorme concentrazione degli ordigni bellici presenti. 

Le indagini hanno dimostrato che la presenza di ordigni sul fondale del Porto, ben nota quindi alle parti contraenti ancor prima della consegna dei lavori, e oggettivo ostacolo alla realizzazione delle opere foranee, non ha dissuaso dall’attivare la citata gara d’appalto né, soprattutto, l’esecuzione dei lavori portuali senza una effettiva e preventiva bonifica dei fondali. Anzi, ad un certo punto dell’iter esecutivo è stata anche formalizzata un’onerosa transazione pari ad ulteriori 7,8 mln di euro – tratti dai fondi pubblici – per risarcire l’ATI appaltatrice del ritardo nell’esecuzione dei lavori stessi.

Inoltre, a causa di tali ostacoli, si è stati anche costretti a ridimensionare di parecchio l’intervento esecutivo, senza proporzionali riduzioni del compenso.
La vera attività di bonifica dei fondali iniziava solo nel luglio 2008 a cura di apposito nucleo della Marina Militare e cioè dopo la consegna alla citata A.T.I. dei lavori relativi al porto.

Nella complessa vicenda le indagini hanno, infine, riscontrato altri numerosi reati, tra cui una serie di illeciti ambientali e paesaggistici, consistenti nella  realizzazione di una discarica abusiva (cosiddetta “cassa di colmata”) all’interno dell’area di cantiere del porto – nella quale sono presenti numerosi ordigni bellici rimossi durante le operazioni di dragaggio del fondale non smaltiti secondo la normativa vigente, nonché materiali di risulta delle opere di scavo sottomarino in violazione della normativa che regola la gestione dei rifiuti (D. Lgs. n.152/2006), nonché del T.U. dell’edilizia (D.P.R. n.380/2001), del codice del Paesaggio (D. Lgs n.42/2004) e della disciplina speciale in tema di bonifica da ordigni bellici.

Nel corso delle indagini venivano infine accertati numerose gravi violazioni alle norme poste a tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico. Il Comune di Molfetta al fine di conseguire i finanziamenti aveva falsamente asserito l’inesistenza sull’area portuale di vincoli imposti dalla normativa europea e nazionale in tema di ambiente e paesaggio. L’area interessata dagli interventi insisteva, infatti, in una zona tutelata dal Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio (P.U.T.T.) della Regione Puglia poiché area ambientale protetta nonché assoggettata sia a vincolo storico-paesaggistico che ambientale-naturalistico, in parte ricadente nel sito di importanza comunitaria denominato “Posidonieto San Vito – Barletta”.

Si evidenziato come, il percorso compiuto dal Comune per ottenere i detti finanziamenti, passava anche attraverso l’asserita inesistenza, sull’area portuale molfettese, di vincoli imposti dalla normativa europea e nazionale in tema di ambiente e paesaggio con particolare riferimento ai S.I.C. – Siti di Importanza Comunitaria (Rete Natura 2000-Direttiva Habitat) tesi alla tutela di habitat naturali quali sono le acque portuali molfettesi ricche di colonie di alga poseidonia.

A fronte dell’attività investigativa sono, come detto, state tratte in arresto (ai domiciliari) due dei responsabili (l’ex dirigente comunale Vincenzo Balducci) ed il procuratore speciale della C.M.C. nonché direttore di cantiere Giorgio Calderoni.

E’ stato inoltre eseguito il sequestro dell’area destinata al nuovo porto e la somma residua di uno dei mutui della Cassa Depositi e Prestiti destinati al finanziamento dell’opera.

MOLFETTA, LA TRUFFA DEL PORTO

La legge sugli ecoreati rischia di essere bloccata

Come bloccare una legge giusta

di Roberto Saviano – espresso.repubblica.it

Seguiamo l’iter tortuoso di un disegno di legge che farebbe bene al nostro paese. Seguiamolo per capire come accade che nel lavoro alle Camere su un disegno di legge si riescano a far entrare tali e tanti interessi da renderlo imperfetto pur se necessario. Seguiamolo per capire come tra Camera e Senato si arenino le migliori intenzioni. Seguiamolo per capire come dovremmo essere coinvolti sempre, perché solo il nostro sguardo e la nostra attenzione possono davvero richiamare all’ordine chi lavora per noi e per nessun altro. E chiediamo, infine, ai parlamentari uno slancio di responsabilità perché dimostrino di sapere quali sono gli interessi che devono tutelare.

Nel 1994 Legambiente pubblicò la prima edizione del Rapporto Ecomafia con l’obiettivo di inserire i reati ambientali nel codice penale. Dopo 21 anni i reati ambientali potrebbero entrare nel codice penale perché presenti in un disegno di legge promosso da tre partiti (Pd, M5S e Sel), approvato alla Camera in prima lettura il 26 febbraio 2014 e al Senato in seconda lettura il 4 marzo 2015 (dopo un’estenuante discussione fatta per 12 mesi nella commissione Giustizia presieduta dal senatore Nitto Palma di Forza Italia e nella Commissione ambiente presieduta dal senatore Ncd Marinello, entrambi contrari all’inserimento degli ecoreati nel codice penale). «Se la legge sugli ecoreati venisse approvata», riferisce Legambiente, «inquinamento, disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo, omessa bonifica e impedimento del controllo, fino a oggi considerati reati contravvenzionali e quindi di natura minore, diventerebbero delitti da codice penale e quindi sanzionati adeguatamente per la loro gravità e contrastati in modo molto più efficace. I tempi di prescrizione si raddoppierebbero e si potrebbero utilizzare anche strumenti d’indagine efficaci come le intercettazioni e l’arresto in flagranza, propri solo dei delitti e non dei reati minori». Sarebbe una svolta dopo vent’anni di informazione e lotta.

Ma non è sempre tutto semplice come appare e soprattutto per bloccare un disegno di legge basta trovare un cavillo, solo uno – che poi spesso cavillo non è – perché tutto rischi di arenarsi. Nel passaggio al Senato del disegno di legge sui reati ambientali, il senatore di Fi Antonio D’Alì propone l’inserimento di un emendamento che stabilisce il divieto dell’uso dell’air gun (una tecnica di ispezione dei fondali marini ad aria compressa, molto controversa a livello internazionale per gli impatti su cetacei e pesca).

Tutto normale, uno slancio ambientalista e nulla più, se non fosse che l’air gun ha scatenato in modo evidente le preoccupazioni delle società energetiche e che tra gli ultimi emendamenti presentati in Commissione Giustizia della Camera ce n’è uno di Fi che prevede l’abrogazione del divieto dell’uso dell’air gun. Quindi D’Alì al Senato ne chiede il divieto e due suoi colleghi di partito, probabilmente in disaccordo, chiedono la fine del divieto in Commissione Giustizia della Camera.

Ora, la Camera potrebbe decidere di approvare il ddl sugli ecoreati così com’è, ma ne dubito, perché verrà giudicato imperfetto. Sarà quindi modificato nuovamente e rimandato al Senato, per un quarto passaggio parlamentare dove probabilmente si arenerà definitivamente rendendo vano il ventennale lavoro di Legambiente, l’impegno di Libera e delle associazioni ambientaliste, di medici, studenti e di categoria, come Coldiretti, Cia, Federambiente, Kyoto Club e Aiab che hanno chiesto un intervento diretto di Matteo Renzi.

Se il Ddl sugli ecoreati verrà bloccato per tutelare le compagnie petrolifere, sarà l’ennesima dimostrazione che le persone chiamate a rappresentare i nostri interessi in realtà rappresentano unicamente quelli di chi può far loro favori e distribuire prebende. Ma se verrà bloccato sarà drammaticamente chiaro come funziona il Parlamento. Sarà evidente cosa accade lontano dai nostri occhi. E se questo accade ogni volta vuol dire che il percorso democratico, che il meccanismo democratico, si è inceppato.

Se quando puntiamo la lente di ingrandimento scorgiamo questo, quale fiducia resta? Quale fiducia anche in chi promette di voler cambiare tutto, ma alla prova dei fatti non riesce a comprendere le dinamiche di palazzo? Siamo in balia di politicanti di professione, siamo in balia di chi fa politica con cinismo. Di chi dà supporto alle ecomafie con leggerezza criminale.

Azzollini e il porto di Molfetta, una legge ad personam potrebbe assolverlo

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

Antonio Azzollini, campione delle leggi ad se stessum. Il latino è del tutto maccheronico, ma rende l’idea. Il senatore Ncd, presidente della Commissione bilancio, di recente attenzionato per la seconda volta dalla Corte dei Conti, potrebbe scampare dalle accuse che lo hanno fatto finire nel registro degli indagati per la vicenda del porto di Molfetta, città pugliese di cui era sindaco, un appalto da 57 milioni per un’opera mai finita, ma per la quale lo Stato ha stanziato finora oltre 169 milioni. Secondo Repubblica Bari, un piccolo comma inserito in una legge approvata l’anno scorso (quella dei famosi 80 euro di Renzi) potrebbe far cadere una delle accuse contestate al politico alfaniano dalla Procura di Trani. Quella di aver versato 5,7 milioni di euro alle imprese appaltatrici del porto con un “artifizio contabile”, sostengono i pm, in modo tale che il Comune di Molfetta apparisse comunque in regola con il patto di stabilità per gli enti locali.

Repubblica chiama in causa il comma 1-bis dell’articolo 18 del decreto legge n.16 del 2014, poi convertito in legge. E proprio in sede di conversione (prima stranezza) è comparso il “bis” incriminato. Il quale, “per i mutui contratti dagli enti locali antecedentemente al 1o gennaio 2005″ offre una nuova interpretazione di una precedente norma, il comma 76 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Proprio quella che i pm di Trani contestano ad Azzollini di aver violato. La nuova interpretazione è tale che “l’ente locale beneficiario può iscrivere il ricavato dei predetti mutui nelle entrate per trasferimenti in conto capitale, con vincolo di destinazione agli investimenti”. Così facendo, “l’eventuale rimborso da parte dello Stato delle relative rate di ammortamento non è considerato tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno”. Un cavillo supertecnico, ma a sollevare sospetti è innanzitutto il riferimento netto al 2005, visto che il pagamento incriminato era stato iscritto nel bilancio del Comune di Molfetta giusto nel 2004. E l’inchiesta contro Azzollini e una sessantina di indagati era diventata di pubblico dominio il 7 ottobre 2013, con due arresti. Come mai sei mesi dopo, nel marzo del 2014, qualcuno si preoccupa di intervenire sui mutui contratti dai Comuni otto anni prima?

Non è la prima volta che il Parlamento licenzia leggine utili al potente ex sindaco di Molfetta. Fra le accuse della Procura di Trani contro Azzollini c’è quella di avere dirottato i copiosi fondi statali stanziati per il porto ad altre destinazioni, dalla pista di atletica alla sistemazione dei marciapiedi. Molti di questi dirottamenti, però, non possono essergli contestati in virtù di una norma del 2005 (il dl 203 poi convertito in legge), secondo la quale i fondi da quel momento in poi stanziati per il porto di Molfetta potevano essere utlizzati anche per “la realizzazione di opere di natura sociale, culturale e sportiva”. Il pronto soccorso ad Azzollini è spesso bipartisan. Nell’ottobre scorso il Pd è stato determinante per respingere la richiesta della Procura di Trani di utilizzare alcune intercettazioni telefoniche – sempre relative all’inchiesta sul porto – in cui compariva il parlamentare. Il prezzo pagato dai dem fu una lacerazione interna con tanto di autosospensione del senatore Felice Casson. Una vicenda che ha poi pesato sulla sua decisione di candidarsi a sindaco di Venezia, con la prospettiva di lasciare Palazzo Madama (e i suoi compromessi) se eletto.

Porto Molfetta, 53 milioni di danni. La Corte dei conti contro Azzollini

di Giuliano Foschini – bari.repubblica.it

Il Senato ha votato contro l’utilizzo delle sue intercettazioni telefoniche. Ma il senatore di Ncd, Antonio Azzollini, rischia di pagare a caro prezzo la brutta storia del porto di Molfetta: 53 milioni. E’ questo il danno erariale per il quale lui, insieme con tutti gli amministratori coinvolti nella maxi inchiesta di Trani sono stati denunciati alla Corte dei Conti dalla Guardia di Finanza affinchè venga stabilito se sono stati spesi soldi non dovuti.

Il caso è noto. La realizzazione del porto a Molfetta, città guidata dall’allora sindaco Azzollini, senatore e presidente della Commissione bilancio.

Secondo l’accusa della Procura di Trani, il porto era un’opera irrealizzabile: il fondale del porto di Molfetta era pieno di ordigni bellici, residui della seconda guerra mondiale. Sminarlo era praticamente impossibile o comunque troppo costoso. Motivo per cui i lavori non avrebbero potuto mai essere terminati. Ciò nonostante però il lavoro fu appaltato e i lavori furono effettivamente sospesi. Ciò nonostante da Roma continuavano ad arrivare soldi che Azzollini, questa l’accusa della Procura, avrebbe utilizzato su altre spese di bilancio. In modo da soddisfare interessi elettorali. Qualche esempio: vengono presi dai soldi del porto i 624mila euro dati ai dipendenti come incentivi comunali, i due milioni e mezzo per i nuovi marciapiedi, i tre milioni per la pista di atletica, i 221mila per il palazzetto dello sport, i 375mila per i gabbiotti e le tende da sol del “mercato diffuso”, i 300mila per il centro minori più una serie di spese correnti compresi i “111.526 euro in “cancelleria e stampa” e 34.378 euro in “conti di ristoranti”. «In sostanza – scrive la procura di Trani in uno dei suoi atti di accusa – l’amministrazione Azzollini ha utilizzato quel denaro per creare un “fittizio equilibrio economico”, e a attestare falsamente il patto di stabilità. L’amministrazione sostituiva le spese d’investimento con uscite non aventi tale natura, e ‘copriva’ queste ultime a carico dei finanziamenti e trasferimenti finalizzati alla costruzione del nuovo porto commerciale». Porto che appunto cominciato, finanziato (sono stati costretti anche a pagare una penale milionaria alla Cmc, la società che aveva vinto la gara ma non ha potuto continuare per via delle bombe) e ora ancora rifinanziato con altri dieci milioni nell’ultima finanziaria.

Eppure che su quell’appalto ci fosse qualcosa che non andasse lo aveva già detto nel 2008 l’Authority sull’appalto che aveva parlato di una «illegittimità del bando di gara». L’appalto prevedeva l’esistenza di una draga, una particolare macchina per l’escavazione subacquea, che ha soli tre esemplari al mondo. «Una richiesta fortemente limitativa della concorrenza » diceva il Garante che aveva previsto anche il resto. In un’ispezione della Finanza del 2008 si diceva «che a causa delle attività di bonifica dei fondali dagli ordigni bellici, i lavori di dragaggio non hanno ancora avuto un concreto inizio» e quindi chissà quando sarebbero finiti. Da qui la possibilità che l’azienda appaltatrice, come effettivamente poi accaduto, potesse chiedere i danni «per fermo cantiere ed inutilizzo dei macchinari» con «profili di potenziale danno erariale» per le casse del Comune.

«Siamo stati facili Cassandre, purtroppo» dicono ora dall’Authority dove fanno notare anche una seconda circostanza. L’appalto era stato bandito per 63,8 milioni e vinto da una Ati tra Cmc, Società italiana dragaggi e Pietro Cidonio con un ribasso del 10 per cento portando il valore di contratto a 57,6 milioni. Sei mesi dopo, una volta presentato il progetto esecutivo, il costo lievita a 69,4 milioni. «Grazie a questo meccanismo scrive l’Autorità – l’impresa recupera di fatto il ribasso offerto, oltre ad un ulteriore maggiore importo del 10 per cento».

Legge stabilità: altri 10 milioni al porto del senatore Azzollini. Ma è già finanziato

di Mario Portanova – www.ilfattoquotidiano.it

Nella legge di stabilità dei tagli ai ministeri e gli enti locali, c’è un Comune che si vede arrivare uno stanziamento di dieci milioni di euro non richiesto e di cui non sa neppure bene che cosa fare. Il Comune è quello di Molfetta, 60mila abitanti, in provincia di Bari, guidato fino all’anno scorso da Antonio Azzollini (nella foto, a sinistra), attuale presidente Ncd della Commissione bilancio del Senato, indagato per truffa ai danni dello Stato e altri reati dalla Procura di Trani nell’inchiesta sulla costruzione del nuovo porto cittadino. E proprio al progetto del porto sono legati i dieci milioni stanziati dalla manovra economica approvata la notte scorsa. Peccato che il porto sia già interamente finanziato, che il cantiere sia sotto sequestro dal 7 ottobre dell’anno scorso e che i lavori, a quella data, fossero già sostanzialmente fermi per la presenza in mare di migliaia di ordigni bellici che impedivano il dragaggio del fondale. E proprio l’utilizzo dei fondi per la costruzione del nuovo bacino – oltre 170 milioni di euro dal 2001 a oggi, di cui al 2012 ne risultavano incassati circa 60 – è al centro delle accuse dei pm di Trani, secondo i quali l’amministrazione Azzollini ha sistematicamente dirottato milioni di euro arrivati per la grande opera su altre voci del bilancio comunale, compresi incentivi ai dirigenti e persino 111.526 euro in “cancelleria e stampa”, si legge negli atti dell’inchiesta. In questo modo, accusano i magistrati, il Comune di Molfetta per diversi anni ha raggiunto un “fittizio equilibrio economico” e attestato “falsamente” il rispetto del patto di stabilità. Tra le contestazioni più gravi ad Azzollini e la sua amministrazione, quella di aver convenuto con il consorzio di imprese appaltatrici, guidato dalla coop rossa Cmc di Ravenna, una transazione da 7,8 milioni di euro a titolo di compensazione per lo stop dei lavori dovuto alla presenza degli ordigni.

Nonostante questo quadro, nella legge di stabilità appena approvata si annida un articolo inintellegibile ai più, beffardamente inserito alla voce “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia finanziaria e tributaria”. Per scovare i 10 milioni bisogna cercare (trattenendo il fiato) il riferimento all’articolo 11 quaterdecies comma 20 del decreto legge 203/2005 convertito dalla legge 248/2005. Che rimanda, a sua volta, alla legge 174/2002 sugli stanziamenti per il “completamento della diga foranea di Molfetta”.

Completamento che, peraltro, doveva avvenire entro il 2012, quindi prima del sequestro della magistratura. Oggi i lavori, appaltati alla Cmc, i cui vertici sono indagati, sono realizzati soltanto al 60%. Il finanziamento in questione è entrato nella legge di stabilità dalla porta principale, nel testo preparato dal governo, e quando è stato svelato in Commissione lavori pubblici del Senato ha provocato le proteste del Movimento 5 stelle, ma pare aver lasciato “sbalordito” anche qualche parlamementre Pd. Lo stesso Pd che ha vissuto con parecchi mal di pancia il “salvataggio” di Azzollini in Senato, lo scorso 8 ottobre, dalla richiesta di utilizzo di alcune intercettazioni telefoniche avanzata dalla Procura di Trani, salvataggio per il quale i voti del partito di Matteo Renzi sono risultati determinanti.

Oggi al Municipio di Molfetta siede la nuova giunta di centrosinistra guidata dall’indipendente Paola Natalicchio, che nel giugno del 2013, quando l’inchiesta sul porto era in corso ma non ancora esplosa con la notizia dei due arresti e dei 60 indagati, ha strappato il ballottaggio al candidato di Azzollini, che non poteva più ripresentarsi per raggiunto il limite massimo di mandati. Certo, a caval donato (con i soldi dei contribuenti, s’intende) non si guarda in bocca, e i progetti da finanziare non mancano, ma negli uffici comunali confermano che l’attuale amministrazione non ha fatto alcuna pressione per ottenere questo nuovo stanziamento e che il completamento della “diga foranea”, a cui la legge di stabilità rimanda, non richiede allo stato altri fondi.

Attende soltanto il dissequestro del cantiere e, soprattutto, il completamento della rimozione degli ordigni bellici, a cui lavora dal 2009 lo Sdai (Servizio difesa antimezzi insidiosi) della Marina militare. In più, quando si è insediata, la nuova giunta ha avuto un bel da fare a rimettere ordine nel bilancio, per non correre il rischio di finire a sua volta sotto inchiesta: per esempio un appalto per la costruzione di nuovi marciapiedi, già in corso, è stato annullato e poi rifinanaziato da zero con altre risorse perché anche questo poggiava sui finanzamenti ottenuti per la grande opera portuale. Ma dal cielo di Roma i nuovi fondi della grande opera voluta dal potente senatore Azzollini sono piovuti lo stesso.

Azzollini, il capogruppo Pd che lo ha “salvato” indagato per peculato

Italian senators Isabella Del Monte, Felice Casson and Giuseppe Cucca attend the final hearing of a senate panel discussing if former Premier Silvio Berlusconi must surrender his Senate seat, in Rome, Friday, Oct. 4, 2013. An Italian Senate panel deciding whether ex-Premier Silvio Berlusconi should lose his seat in the upper chamber of Parliament because of his tax fraud conviction and prison sentence. (AP Photo/Andrew Medichini)

di Monia Melis – www.ilfattoquotidiano.it

Da senatore Pd, e soprattutto in quanto membro delle Giunta delle elezioni e immunità parlamentari, il nome dell’avvocato nuorese Giuseppe Cucca (nella foto con Felice Casson e Isabella Del Monte) è diventato d’un tratto noto. In qualità di capogruppo appena pochi giorni fa, insieme ad altri sette parlamentari dem, ha infatti negato l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche indirette di Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio del Senato in quota Nuovo centrodestra, accusato di diversi reati nell’inchiesta sul porto di Molfetta, di cui è stato sindaco. Tra le contestazioni una presunta truffa per 150 milioni di euro e mancate bonifiche dei fondali. La cronaca è nota: dopo nove mesi di rinvii dalla giunta è arrivato il “no” e, insieme anche l’autosospensione del relatore, collega di partito, Felice Casson. Poi la rivolta interna con le accuse del deputato Pd Pippo Civati e i sospetti di pressioni politiche. Tra presunte telefonate e riunioni in corsa, quando ormai era il momento di votare. Poi il responso e il profilo basso.

Il senatore Cucca è uno dei pochi a parlare: “Chi insinua che vi siano state pressioni politiche o di altro genere lo fa in palese malafede, dato che colpevolmente dimentica che le stesse persone, anche nel recente passato, non hanno esitato ad assumere decisioni ben più delicate, che davvero avrebbero potuto avere implicazioni sulla vita politica del Paese. E ciò anche in presenza di gravi minacce per loro e per i familiari”. Ma se la notorietà nazionale viene guadagnata di volta in volta, diversa quella regionale. Il nome di Cucca in Sardegna è nell’elenco degli Onorevoli coinvolti nella maxi inchiesta sui fondi regionali. Un esercito che supera gli ottanta nominati distribuiti nei tre filoni portati avanti dalla Procura di Cagliari, con costante aggiornamento.

L’accusa per tutti è di peculato: aver utilizzato i soldi destinati all’attività istituzionale per spese e fini diversi, personali. Alla base dell’inchiesta, prima in Italia, c’è il resoconto della supertestimone Ornella Piredda, già dipendente del Gruppo misto. Lo schema è poi stato applicato a diverse legislature, nella filosofia, ribadita durante gli interrogatori che “così fan tutti”. Ecco quindi la distribuzione dei soldi pubblici – milioni di euro – con il sistema “paghetta”: non attività e spese istituzionali da rimborsare ma un tot a consigliere, quasi mai documentato. In particolare il senatore Cucca è indagato da ottobre del 2013, in quanto ex consigliere regionale della Margherita, insieme ad altri 32 appartenenti del centrosinistra con cifre mediamente basse rispetto ad altri colleghi di assemblea. Il pm Marco Cocco gli contesta presunte spese illecite per 19.608 euro relativi alla XIII legislatura, tra il 2004 e il 2009. Così suddivisi: 15mila euro ottenuti dal gruppo, 4mila attraverso il bancomat.

Un secondo avviso a comparire è stato poi notificato qualche mese più tardi, a giugno, per altri 2mila euro. Tutti i consiglieri sorpresi, ma non scossi, pronti a giustificare e a trovare fatture e ricevute. Mentre si indaga su viaggi e altri acquisti ritenuti non in linea. Cucca allora aveva dichiarato: “Quei fondi non li ho usati neppure tutti, ma voglio prima capire di cosa mi si accusa; capisco meno, ma so che è normale in questi casi, la gogna mediatica che si scatena, come se avessimo fatto chissà cosa”. A fine gennaio l’interrogatorio di novanta minuti in compagnia del legale. Il senatore ha definito di aver fatto le spese sospette per “fini istituzionali”, comunque “giustificabili per fini politici”: come i costi sostenuti per dipendenti e uffici.

Il verbale della vergogna protegge il “PresidenteSenatoreExsindaco”

GIUNTA DELLE ELEZIONI E DELLE IMMUNITA’ PARLAMENTARI

MARTEDÌ 7 OTTOBRE 2014
46ª Seduta

Presidenza del Presidente
STEFANO

La seduta inizia alle ore 20,35.

IMMUNITA’ PARLAMENTARI

(Doc. IV, n. 5) Domanda di autorizzazione all’utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche del senatore Antonio Azzollini nell’ambito di un procedimento penale pendente anche nei suoi confronti (n.1592/09 RG – n. 2629/11 RG – n. 3775/13 RG GIP)
(Seguito dell’esame e rinvio)

La Giunta riprende l’esame iniziato nella seduta dell’11 marzo e proseguito nelle sedute del 25 marzo, del 10 aprile, dell’11 e del 24 giugno, del 1° e del 10 luglio, del 24 settembre e del 1° ottobre 2014.

Il PRESIDENTE riassume i termini della questione, invitando ad iscriversi a parlare i senatori interessati ad intervenire.

Il senatore D’ASCOLA (NCD), nel rilevare preliminarmente come l’aspetto riguardante il titolo di reato sia stato considerato erroneamente dirimente ai fini della applicazione, nel caso concreto, delle garanzie previste dall’articolo 68 della Costituzione, sottolinea invece come la linea discriminante in ordine alla utilizzabilità o meno di intercettazioni che coinvolgono un parlamentare resta tracciata sia dalla richiamata norma costituzionale sia, soprattutto, dalla giurisprudenza che si è consolidata sul punto. Si è così distinta la fattispecie delle intercettazioni telefoniche dirette – in quanto riguardanti direttamente un parlamentare – le quali, come tali, sono inutilizzabili senza l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza, e, dall’altro lato, si è individuata la fattispecie delle intercettazioni telefoniche indirette, a sua volta classificabile in due sottofattispecie: le intercettazioni indirette in senso stretto e le intercettazioni indirette che più propriamente devono definirsi occasionali e casuali.
Queste due fattispecie danno luogo, infatti, a conseguenze diametralmente opposte: le intercettazioni telefoniche di tipo occasionale e casuale afferiscono ad utenze intestate a soggetti terzi – quindi, non coperti dalla garanzia dell’articolo 68 della Costituzione – utenze sulle quali non era prevedibile l’utilizzabilità e, conseguentemente, il coinvolgimento o la partecipazione del parlamentare. Al contrario, le intercettazioni indirette possono riguardare utenze telefoniche intestate a terzi – soggetti che non rivestono la carica di parlamentare – utenze sulle quali però era prevedibile il rischio di poter captare conversazioni telefoniche che riguardavano un parlamentare che aveva abitudine e consuetudine di rapporti con il soggetto direttamente intercettato. In quest’ultimo caso, pertanto, tutte le volte in cui è configurabile il rischio o la possibilità o la probabilità di intercettare il parlamentare, l’intercettazione stessa dovrebbe essere considerata inutilizzabile.
Ricostruiti in tali termini i criteri che devono essere necessariamente seguiti in merito alla utilizzabilità di intercettazioni che investono un parlamentare, occorre ora verificarne l’applicazione in merito alla vicenda all’esame. A suo avviso non vi è dubbio che si è di fronte ad un caso di intercettazioni telefoniche indirette in senso stretto, poiché fin dall’inizio era sussistente la possibilità di poter intercettare indirettamente il senatore Azzollini; era perciò rappresentabile agli uffici inquirenti la possibilità che intercettando le conversazioni sulle utenze telefoniche intestate a terzi si potesse intercettare indirettamente anche il parlamentare in questione, tanto più che l’ipotesi di concorso di reato – a supporto della richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari – lasciava presagire che tra i soggetti coinvolti sussistevano abituali rapporti telefonici. Era pertanto perfettamente prevedibile che il committente dell’opera in questione, cioè il senatore Azzollini, intrattenesse rapporti e colloqui abituali e ripetuti con il soggetto incaricato di realizzare l’opera stessa. Alla luce del quadro descritto, dunque, le intercettazioni telefoniche che indirettamente hanno coinvolto il senatore Azzollini necessitavano della preventiva autorizzazione da parte della Camera di appartenenza.
Ribadito pertanto che, a suo parere, la questione concernente la qualificazione del reato – nel caso concreto, cioè, l’associazione a delinquere di cui all’articolo 416 del codice penale – non appare dirimente né sul versante del diritto sostanziale né su quello del diritto processuale, conclude richiamando l’attenzione sul fatto che un componente della Giunta, la senatrice Alberti Casellati, essendosi dimessa per incompatibilità derivante dalla sua elezione a membro del Consiglio Superiore della Magistratura, non è stata ancora sostituita. In tal senso, si potrebbe sostenere che ci si trova di fronte ad un collegio incompleto e imperfetto, come tale inidoneo a decidere la questione in esame.

Il senatore Mario FERRARA (GAL) ricorda che nella seduta del 10 luglio scorso avanzò la richiesta di acquisire copia dell’ordinanza di proroga delle indagini preliminari e degli atti richiamati emessa dal Tribunale di Trani il 27 gennaio 2012, richiesta che, non avendo ricevuto avviso contrario da parte del relatore, fu poi accolta dalla Giunta. Tali atti quindi sono stati poi effettivamente acquisiti e la Giunta ha successivamente provveduto ad audire, in due distinte occasioni, il senatore Azzollini. Rileva, peraltro, che nella stessa esposizione introduttiva svolta dal relatore nella seduta dell’11 marzo scorso si precisava che il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto inutilizzabili i tabulati telefonici di utenza sottoposta ad intercettazione – relativi a tre tentativi di chiamata da parte di utenza intestata al senatore Azzollini – effettuati il 4 maggio 2010, per i quali il pubblico ministero richiedeva l’autorizzazione all’utilizzo.
Lo stesso relatore, nella successiva seduta del 24 settembre scorso, faceva presente che dagli atti si desumeva che il senatore Azzollini fosse iscritto nel registro degli indagati il 9 febbraio 2010, per il reato di cui al combinato disposto dagli articoli 323 e 110 del codice penale. In pari data, il pubblico ministero operava la secretazione degli atti di indagine in relazione alla predetta iscrizione, formulando, in data 23 marzo 2010, apposita richiesta di autorizzazione all’effettuazione di intercettazioni in ordine alla sopracitata fattispecie criminosa.
Tale ricostruzione denota, a suo parere, un atteggiamento non conforme tenuto dall’autorità giudiziaria competente che, da un lato, richiede stranamente la secretazione di atti per un reato quale l’abuso di ufficio e, dall’altro, opera inizialmente intercettazioni dirette che coinvolgono il senatore Azzollini. Inoltre, in base alla documentazione successivamente acquisita, emerge in modo incontestabile una serie di inaccortezze compiute dalla stessa autorità giudiziaria in ordine alla iscrizione del senatore Azzollini nel registro degli indagati per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale. Considerato altresì che, come emerso nel corso della sua audizione, l’indagine penale prende avvio proprio da un atto dello stesso senatore Azzollini, rileva che le circostanze esposte descrivono in modo inequivocabile un’attività di intercettazione non casuale a carico del senatore stesso.
Ritiene pertanto che la Giunta sia chiamata a decidere non solo da un punto di vista giuridico-costituzionale, ma soprattutto dal punto di vista politico: il punto nodale della questione ruota intorno al rispetto delle garanzie sancite dall’articolo 68 della Costituzione, garanzie che non possono essere aggirate o eluse come, purtroppo, si è dovuto constatare in numerose circostanze. Pertanto, è auspicabile che la Giunta si riappropri delle prerogative che discendono dalla richiamata norma costituzionale, impedendo che l’utilizzo delle intercettazioni che coinvolgono parlamentari siano sempre e comunque concesse per un errato scrupolo nei confronti del principio di trasparenza di fronte all’opinione pubblica, così privando in partenza il parlamentare della garanzia di cui all’articolo 68 della Costituzione.
In conclusione ritiene che se quelle garanzie sussistono e sono riconosciute dalla Carta costituzionale è anche perché occorre tutelare la vita democratica del Paese.

Il senatore PAGLIARI (PD) non condivide le ultime considerazioni espresse dal senatore Ferrara in merito ad una valutazione di ordine politico che la Giunta sarebbe chiamata ad effettuare riguardo all’articolo 68 della Costituzione: tale norma, a suo avviso, non può rappresentare la fonte di un privilegio, bensì lo strumento per evitare interferenze nell’esercizio della funzione parlamentare. In questa ottica, pertanto, le autorizzazioni ad acta vanno concesso nel caso in cui sussistano i requisiti oggettivi previsti dalla normativa vigente.
Sottolinea, tuttavia, alcuni dubbi e perplessità che sottopone all’attenzione del relatore e che discendono dal fatto che potrebbe sembrare difficile scindere l’imputazione del senatore Azzollini dagli altri concorrenti per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale. Occorre quindi interrogarsi se nel momento in cui è stata avviata l’indagine penale, emersa un’ipotesi di concorso di reato nel senso menzionato, era pertinente distinguere l’imputazione del senatore Azzollini nel quadro del complessivo disegno criminoso. Tiene a precisare che la vicenda sottesa agli atti appare sconcertante, ferma la presunzione di innocenza di tutti i soggetti coinvolti; tuttavia, l’oggetto dell’esame cui è chiamata la Giunta deve essere concentrato sugli aspetti in precedenza richiamati al fine di evitare che l’iscrizione nel registro degli indagati possa essere considerata in qualche modo reticente per eludere il dettato dell’articolo 68 della Costituzione, così ravvisando gli estremi di un fumus persecutionis a carico del parlamentare in questione.
Infine, sollecita il Presidente a fornire risposta al dubbio di ordine procedurale sollevato dal senatore D’Ascola per quanto concerne la composizione della Giunta, un cui membro – dimessosi dal Senato – non è stato ancora sostituito.

Il PRESIDENTE, non essendovi altri senatori che chiedono di intervenire in discussione generale, cede la parola al relatore per la replica.

Il relatore, senatore CASSON (PD), evidenzia che, al di là della “cortina fumogena” che si è voluta innalzare sulla vicenda in esame, i termini della questione appaiono, a suo giudizio, chiari.

Il senatore D’ASCOLA (NCD) reputa inaccettabile il tono e lo spirito con i quali il relatore ha esordito nel proprio intervento.

Il PRESIDENTE richiama il relatore ad assumere un atteggiamento più moderato e rispettoso verso tutte le opinioni emerse durante il dibattito.

Il relatore, senatore CASSON (PD), prosegue nella replica, osservando che la questione sottoposta all’attenzione della Giunta coinvolge ben 62 indagati, per una serie complessa di imputazioni che hanno originato due procedimenti penali. In particolare, l’autorità giudiziaria competente ha avanzato richiesta di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni riguardanti il senatore Azzollini, intercettazioni di numero esiguo e relative ad un ristrettissimo arco temporale. Precisa altresì che tali intercettazioni hanno ad oggetto utenze telefoniche che riguardano il responsabile unico del procedimento che è stato fin dall’inizio indagato per il reato previsto dall’articolo 416 del codice penale. Alla luce degli atti acquisiti, sostiene la natura del tutto casuale delle intercettazioni che coinvolgono il senatore Azzollini poiché tale captazione è stata fortuitamente effettuata su utenze telefoniche che non potevano essere riferibili al senatore in questione.
In questi termini, ribadisce conclusivamente la propria proposta di concedere l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni di conversazioni telefoniche riguardanti il senatore Azzollini.

Il PRESIDENTE tiene a precisare che già nella precedente seduta ha avuto modo di verificare l’assoluta regolarità dei lavori della Giunta, la quale, non può essere considerata un organo perfetto; infatti, ricorda che i collegi perfetti sono quelli che possono deliberare solo con la presenza di tutti i membri; tuttavia, in tale fattispecie non possono ricomprendersi gli organi politici e legislativi che, quindi, devono essere considerati collegi imperfetti che possono deliberare con la presenza di un numero legale, numero legale che tanto nella scorsa seduta quanto in quella odierna è stato ampiamente superato.

Si procede quindi alle dichiarazioni di voto.

Il senatore GIOVANARDI (NCD) preannuncia, anche a nome del Gruppo parlamentare di appartenenza, il voto contrario sulla proposta formulata dal relatore Casson, evidenziando che nel caso di specie sono state aggirate ed eluse le disposizioni contemplate all’articolo 68 della Costituzione in materia di intercettazioni. Lo stesso approccio poco rispettoso delle guarentigie costituzionali è stato seguito dalla Procura di Palermo relativamente all’espressione da parte della stessa di parere favorevole alla deposizione del Capo dello Stato, insieme a due esponenti della malavita organizzata, al processo per la trattativa Stato-mafia.

Il senatore BUEMI (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE) preannuncia, anche a nome del Gruppo parlamentare di appartenenza, il voto contrario sulla proposta avanzata dal relatore Casson, evidenziando che nel caso di specie la Procura di Trani ha indebitamente intercettato le conversazioni di un parlamentare, senza chiedere preventivamente l’autorizzazione alla Camera di appartenenza dello stesso.

Il senatore GIARRUSSO (M5S) preannuncia, anche a nome del Gruppo parlamentare di appartenenza, il voto favorevole sulla proposta del relatore Casson, evidenziando che nel caso di specie le intercettazioni si configurano come occasionali e conseguentemente può essere autorizzato l’utilizzo delle stesse.
Relativamente alle considerazioni espresse dal senatore Giovanardi in merito alla deposizione del Capo dello Stato nella trattativa Stato-mafia, prospetta l’opportunità che il Presidente della Repubblica rassegni le proprie dimissioni.

Il senatore Mario FERRARA (GAL) preannuncia, anche a nome del Gruppo parlamentare di appartenenza, il voto contrario sulla proposta formulata dal relatore Casson, sottolineando che le guarentigie contemplate all’articolo 68 della Costituzione tutelano il libero esercizio del mandato parlamentare, evitando qualsivoglia condizionamento in ordine allo stesso.
Nel caso di specie le intercettazioni di cui al documento in titolo non erano sicuramente occasionali, in quanto è del tutto inverosimile la tesi sostenuta dalla Procura in base alla quale l’imputazione per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale avrebbe riguardato le ditte appaltatrici, i funzionari comunali che hanno seguito i lavori, e non il principale referente politico del comune che ha commissionato tale appalto.

Il senatore CUCCA (PD) chiede una breve sospensione della seduta.

La seduta, sospesa alle ore 21,40, riprende alle ore 22,10.

Il PRESIDENTE, previa verifica del numero legale, pone ai voti la proposta, formulata dal relatore Casson, di concedere l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche di cui al documento in titolo.

La Giunta respinge, a maggioranza, la proposta messa ai voti dal Presidente.

Il relatore CASSON (PD) annuncia la propria sospensione dal Gruppo del Partito democratico.

I nuovi consociati della politica nazionale ritardano l’azione della Procura di Trani

(Doc. IV, n. 5) Domanda di autorizzazione all’utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche del senatore Antonio Azzollini nell’ambito di un procedimento penale pendente anche nei suoi confronti (n.1592/09 RG – n. 2629/11 RG – n. 3775/13 RG GIP)

La Giunta delle elezioni e delle immunita’ parlamentari ha proseguito stamattina l’esame del Doc. IV, n.5, recante la domanda di autorizzazione all’utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche del senatore Antonio Azzollini nell’ambito di un procedimento penale pendente anche nei suoi confronti. Si è svolta una nuova audizione del senatore Azzollini, ai sensi dell’articolo 135, comma 5, del Regolamento. Sucessivamente è proseguita la discussione generale. Il seguito dell’esame è stato quindi rinviato.

(Terza parte). La Giunta delle immunità parlamentari rallenta l’autorizzazione per l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche del senatore A. Azzollini.

La Giunta delle immunità parlamentari il 10 Luglio 2014 ha ripreso l’esame del testo iniziato nella seduta dell’11 marzo e proseguito nelle sedute del 25 marzo, del 10 aprile, dell’11, del 24 giugno e del 1° luglio 2014.

Il PRESIDENTE Dario Stefano dopo aver ricordato che nella precedente seduta è iniziata la discussione generale, per la quale risultano già iscritti a parlare i senatori Augello, Malan, Cucca e Alberti Casellati, invita il relatore a prendere la parola per sintetizzare le argomentazioni poste a fondamento della sua proposta conclusiva, in modo che tutti i senatori che non hanno preso parte alle precedenti sedute siano a conoscenza di ogni elemento utile ai fini della trattazione del documento in esame.

Il relatore, senatore CASSON (PD)  riassume la propria proposta conclusiva,  evidenziando che il 16 marzo del 2009 il senatore Azzollini è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di abuso d’ufficio innominato di cui all’articolo 323 del codice penale, mentre le telefonate intercettate su utenze di terzi, per le quali si richiede l’autorizzazione all’utilizzo, sono relative al reato di associazione a delinquere. Va a tal proposito sottolineato che per tale fattispecie criminosa, di cui all’articolo 416 del codice penale, il predetto parlamentare è stato iscritto nel registro degli indagati in un periodo successivo rispetto alle intercettazioni, e in particolare il 5 agosto del 2013.

Per le ragioni esposte il relatore ribadisce la propria proposta alla Giunta di accogliere la richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni effettuate nei confronti del senatore Azzollini.

Il senatore  Mario FERRARA (GAL)  interviene incidentalmente per segnalare che da parte del senatore Azzollini gli è stata consegnata copia dell’ordinanza di proroga del termine di durata delle indagini preliminari emessa dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari del tribunale di Trani il 27 gennaio 2012. In tale documento il GIP motiva la richiesta di proroga delle indagini preliminari nei confronti del senatore Azzollini e di altro coindagato anche in relazione al reato di cui all’articolo 416 del codice penale.

Il senatore  MALAN (FI-PdL XVII), nell’evidenziare la rilevanza del documento richiamato dal senatore Ferrara – documento che va necessariamente valutato insieme agli altri già a disposizione della Giunta – sottolinea che, a suo parere, non sussistono dubbi circa il fatto che il senatore Azzollini fosse indagato fin dal 2009 per il reato di associazione a delinquere, ossia in un periodo antecedente a quello nel quale sono state captate le conversazioni telefoniche che lo riguardavano. In tal senso, a suo giudizio, ci si trova di fronte a intercettazioni che non possono definirsi casuali, dal momento che l’autorità giudiziaria era perfettamente consapevole della carica rivestita di senatore.

Gli stessi uffici giudiziari hanno tentato di addurre alcune giustificazioni, sostenendo la cosiddetta natura cumulativa –  concernente il senatore Azzollini ed altro coindagato – delle iscrizioni nel registro degli indagati, per quanto attiene specificamente al reato di cui all’articolo 416 del codice penale. In tale vicenda, dunque, sembrano evidenti approssimazione e confusione da parte dell’ufficio giudiziario competente, con conseguente possibile sussistenza di un fumus persecutionis a danno del senatore Azzollini, in violazione non soltanto dell’articolo 68 della Costituzione, ma anche dell’articolo 15 della Costituzione che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza.

Di fronte al quadro descritto, quindi, ritiene che vi siano fondati elementi per non dare sufficiente credibilità alle richieste avanzate dall’autorità giudiziaria competente, i cui uffici sembrerebbero aver prodotto una documentazione non corrispondente alla situazione effettiva. Si tratta di circostanze che, a suo parere, dovrebbero indurre a non concedere l’autorizzazione di intercettazioni delle conversazioni telefoniche del senatore Azzollini, con l’ulteriore esigenza di segnalare alle autorità competenti le irregolarità e le anomalie che appaiono emergere nell’operato degli uffici giudiziari menzionati.

Il relatore, senatore CASSON (PD), nel sottolineare che il documento richiamato ad inizio seduta dal senatore Ferrara non sembra essere presente tra gli atti già a disposizione della Giunta, rileva che comunque esso fa riferimento al reato associativo di cui all’articolo 416 del codice penale in modo cumulativo rispetto a tutti i coindagati, in analogia ad altri documenti già evidenziati, per i quali, dopo una specifica richiesta istruttoria, è stata fatta chiarezza da parte della cancelleria dell’ufficio giudiziario competente con apposita attestazione trasmessa alla Giunta .

Il senatore  CUCCA (PD), nel concordare con il relatore sul fatto che il documento da ultimo prodotto sembra essere connesso agli altri per i quali si è posta una esigenza di approfondimento istruttorio, osserva che la necessità di prorogare le indagini preliminari, stante la complessità di queste ultime, rappresenta una clausola di stile sovente impiegata negli atti di questo tipo. Rileva che i dubbi emersi sulla documentazione in atti, manifestati nelle precedenti sedute, siano fugati alla luce dell’attestazione prodotta dallo stesso ufficio giudiziario, con l’indicazione cronologica delle varie iscrizioni, dalla quale emerge che il senatore Azzollini è stato inizialmente indagato per il reato di cui all’articolo 323 del codice penale, mentre solo successivamente è avvenuta l’iscrizione per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale, iscrizione in ogni caso posteriore al periodo nel quale si sono svolte le intercettazioni telefoniche. Alla luce di tali argomentazioni, condivide la proposta avanzata dal relatore di accogliere la richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle predette intercettazioni.

La senatrice  ALBERTI CASELLATI (FI-PdL XVII) ritiene che, prima di entrare nel merito delle questioni, vada svolta una premessa di ordine metodologico, concernente il fatto che la Giunta non è chiamata a valutare se le guarantigie costituzionali previste per i senatori siano ancora attuali, congrue ed efficaci: infatti, tale valutazione può essere affidata esclusivamente al dibattito che si sta ora tenendo in merito alla riforma dell’assetto costituzionale. In tal senso, stante il vigente quadro normativo, deve essere ribadita la perfetta autonomia del potere legislativo rispetto a quello giudiziario, respingendo una interpretazione ricorrente secondo la quale la classe politica eserciterebbe una sorta di eccesso di potere nei confronti dell’autorità giudiziaria.

Soffermandosi quindi nel merito delle questioni sottese al documento in titolo, rileva che la legge n. 140 del 2003 non pone un divieto nello svolgimento delle intercettazioni che riguardano parlamentari, ma delimita tale attività investigativa sulla base di determinati parametri. In quest’ottica, si inserisce il vaglio cui è chiamata la Giunta, vaglio che attiene all’osservanza delle regole, delle procedure e delle garanzie attualmente previste. Per lo svolgimento di tale verifica, a suo parere, occorre autonomia di giudizio e serenità poiché vicende come quelle che interessano il senatore Azzollini non possono essere affrontate presupponendo una automatica valutazione favorevole in ordine alle richieste provenienti dall’autorità giudiziaria.

In particolare, a suo avviso, la Procura competente compie una sorta di ricostruzione acrobatica per giustificare la captazione delle conversazioni telefoniche riguardanti il senatore Azzollini; infatti, da una parte, nella copiosa documentazione agli atti, si sostiene ripetutamente il ruolo di protagonista esercitato dal senatore Azzollini, per poi far credere in modo non convincente che l’iscrizione dello stesso nel registro degli indagati per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale avverrebbe soltanto nell’agosto 2013. Questo dato sembra invece in contraddizione rispetto a numerosi documenti dai quali, invece, risulta che lo stesso senatore, fin dal 2009 era iscritto nel registro degli indagati per il reato di cui al citato articolo 416 del codice penale. Lo scenario descritto depone quindi per la presenza quantomeno di una forte approssimazione nell’operato dell’ufficio giudiziario, senza che le giustificazioni successivamente addotte ed acquisite possano dissipare completamente le anomalie e le incongruenze di cui è disseminata tale vicenda. Sembrerebbe invece più plausibile riconoscere che da parte dell’autorità giudiziaria competente vi sia stata un’interpretazione strumentale volta ad una posticipazione dell’iscrizione nel registro degli indagati per il reato associativo al fine di poter ritenere legittima l’attività di intercettazione riguardante il senatore Azzollini. In virtù delle argomentazioni esposte, pertanto, si dichiara contraria alla proposta avanzata dal relatore di accogliere la richiesta di autorizzazione, osservando che il delicato lavoro cui è tenuta la Giunta richiede ulteriore studio ed approfondimento.

  Il senatore GIOVANARDI (NCD reputa che la vicenda in esame potrebbe indurlo ad avanzare una proposta provocatoria volta a chiedere la soppressione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, dal momento che sembra ormai presente una sorta di automatismo in base al quale le richieste di autorizzazione provenienti dall’autorità giudiziaria sono accolte. In realtà, bisognerebbe difendere con maggiore incisività il ruolo e la dignità della Giunta, valutando con estrema attenzione se nella vicenda in esame non si sia in realtà di fronte ad intercettazioni che non possono definirsi casuali essendo evidente – dalla disamina degli atti – che fin dal 2009 il senatore Azzollini risultava indagato per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale. Come più volte evidenziato in precedenti occasioni, va ribadita la rilevanza delle garanzie previste per i parlamentari dall’articolo 68 della Costituzione, senza avallare elusioni o violazioni della suddetta norma da parte dell’autorità giudiziaria.

Il senatore MOSCARDELLI (PD)  ritiene che l’accusa di un atteggiamento pregiudiziale da parte di alcuni componenti della Giunta non possa essere condivisa dal momento che tale organo ha sempre esercitato le sue prerogative con serietà e rigore, senza assecondare le richieste provenienti dalla pressione mediatica esterna. In questo modo, la Giunta ha assolto con dignità il proprio ruolo in vari, complessi e delicati passaggi procedurali.

Anche nella fattispecie in esame, tutti i componenti della Giunta stanno manifestando analoga sensibilità ed attenzione, non rinunciando aprioristicamente a tutte le ipotesi di approfondimento in qualche modo utili per dirimere alcuni dubbi interpretativi emersi sulla base della ingente documentazione in atti. Dà atto al relatore di aver manifestato prontamente la propria disponibilità ad effettuare ogni approfondimento integrativo, al punto che la proposta conclusiva da lui avanzata può certamente definirsi meditata, alla luce di tutti gli elementi in possesso della Giunta e nel pieno rispetto delle vigenti garanzie costituzionali. Resta comunque dell’avviso che possa essere consentito a ciascun senatore di avanzare ulteriori richieste di integrazione istruttoria purché siano fondate e tali da mettere in condizione la Giunta di pervenire ad una deliberazione conclusiva sul documento in titolo.

Il senatore AUGELLO (NCD) rileva che dalla documentazione integrativa trasmessa dalla Procura, e in particolare dalla copia della comunicazione della notizia di reato del Corpo forestale dello Stato, si evince che riguardo al senatore Azzollini erano state effettuate attività investigative anteriormente rispetto all’iscrizione dello stesso nel registro degli indagati.

Va poi evidenziato che le richieste di proroga delle indagini rivolte dalla Procura della Repubblica al giudice delle indagini preliminari potrebbero risentire tutte di un errore di fondo, atteso che nelle stesse è ragionevole ipotizzare che l’autorità inquirente abbia rappresentato al giudice stesso la circostanza, erronea, che il senatore Azzollini fosse indagato fin dall’inizio anche per il reato di cui all’articolo 416 del codice penale. Tale circostanza è particolarmente rilevante in quanto mai in passato la Giunta si è trovata di fronte a casi di erronea indicazione del reato contestato da parte della Procura, con tutti i conseguenti riflessi per quel che concerne la ravvisabilità di un vero e proprio  fumus persecutionis.

Va poi evidenziato che le intercettazioni per le quali si chiede l’autorizzazione all’utilizzo sono nel caso di specie irrilevanti rispetto al concreto oggetto dell’indagine in questione.

Il senatore Augello conclude il proprio intervento prospettando la necessità che la Giunta respinga la richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni di cui al documento in titolo. In via subordinata, chiede l’acquisizione di tutte le richieste di proroga delle indagini (con i relativi atti richiamati nelle stesse), nonché dei verbali di polizia giudiziaria citati nell’ambito della comunicazione della notizia di reato da parte del Corpo forestale dello Stato.

Prospetta altresì l’opportunità che la Giunta ricerchi le modalità più opportune affinchè si faccia chiarezza su eventuali  profili di responsabilità disciplinare o penale degli uffici giudiziari in questione.

Il senatore Mario FERRARA (GAL) sottolina l’esigenza che la Giunta acquisisca formalmente dalla Procura di Trani l’ordinanza di proroga del termine di durata delle indagini preliminari del 27 gennaio 2012 (e degli atti richiamati nell’ambito della stessa).

Dopo brevi interventi dei senatori GIOVANARDI (NCD) e ALBERTI CASELLATI (FI-PdL XVII) con i quali gli stessi esprimono il proprio consenso rispetto alla proposta di integrazione documentale formulata dal senatore Ferrara e dal senatore Augello, il senatore GIARRUSSO (M5S) manifesta la propria contrarietà rispetto a tale opzione, evidenziando che qualora le esigenze di integrazione istruttoria in questione fossero state realmente sussistenti, sarebbe stato necessario prospettare le stesse nel corso del complesso iter effettuato dalla Giunta,  articolato in ben sei sedute.

Il relatore CASSON (PD) dichiara di non nutrire alcuna contrarietà rispetto alla proposta, formulata dal senatore Ferrara,  di acquisizione dell’ordinanza di proroga del termine di durata delle indagini preliminari del 27 gennaio 2012 (e degli atti richiamati nell’ambito della stessa), come pure su una delle proposte del senatore Augello, volta all’acquisizione di tutte le ordinanze riguardanti ulteriori richieste di proroga delle indagini stesse (con i relativi atti richiamati), salvo che tale documentazione risulti già presente tra quella a disposizione della Giunta.

Il PRESIDENTE pone quindi ai voti la proposta di trasmettere al Presidente del Senato la richiesta volta all’acquisizione, dall’autorità giudiziaria competente, dell’ordinanza di proroga del termine di durata delle indagini preliminari del 27 gennaio 2012 (e degli atti richiamati nell’ambito della stessa), come pure di tutte le ordinanze riguardanti ulteriori richieste di proroga delle indagini stesse (con i relativi atti richiamati), salvo che tale documentazione risulti già presente tra quella a disposizione della Giunta.

La Giunta approva a maggioranza la proposta di integrazione istruttoria  in questione.

Il seguito dell’esame è quindi rinviato.

Leggi la prima parte QUI 

Leggi la seconda parte QUI

Leggi QUI  la domanda di autorizzazione all’utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche del senatore Antonio Azzollini, nell’ambito di un procedimento penale pendente anche nei suoi confronti (n. 1592/09 RG – n. 2629/11 RG – n. 3775/13 RG GIP

Ormeggi abusivi, sequestrato un chilometro di costa a Molfetta

bari.repubblica.it

Lungo la costa c’era di tutto: pali conficcati nella roccia fermati con cemento destinati a bitte di ormeggio, piccoli moletti di circa cinque metri realizzati con massi e cemento per permettere l’imbarco e lo sbarco di decine di natanti (ne sono stati individuati 61) e persino scalette in ferro predisposte per l’accesso alle imbarcazioni.

Un tratto di costa di circa un chilometro, attrezzato con ormeggi abusivi, è stato sottoposto a sequestro dalla guardia di Finanza a Molfetta, nelle vicinanze della Basilica della Madonna dei Martiri. L’intervento è stato coordinato dalla procura di Trani. Oltre ai finanzieri sono intervenuti anche militari della Capitaneria di Porto.

Oltre all’intero tratto costiero, i finanzieri hanno sequestrato 30 pontili realizzati per l’ormeggio dei natanti, e con il supporto del nucleo sommozzatori, sono stati rimossi due natanti, 26 gavitelli, una nassa, circa 200 di cime di ormeggio, 56 bitte, un pontile in legno, una struttura tubolare adibita a pontile e tre scalette in ferro.

Il tratto costiero è stato affidato in custodia giudiziale al comune di Molfetta per la messa in sicurezza ed il successivo ripristino dello stato dei luoghi. Il tutto realizzato in maniera abusiva su area demaniale marittima, in spregio ad ogni autorizzazione ed in violazione del vigente “Regolamento del Porto.

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